Siamo ai giardini Margherita, seduti su un prato appena tagliato: fra lo splendore giallo di sole e di erba s'alza un profumo compatto, molto padano, del fieno falciato, a cumuli, che si sta asciugando. Poca gente, solo presenze colorate di donne e ragazze che camminano qua e là. Noi tre seduti (Leonetti, Pasolini, io) parliamo di una rivista da fare, che vogliamo fare, che dobbiamo fare. Il nome già proposto è "Eredi".
(R. Roversi)
Nel 1874 il Comune acquistò dai conti Tattini un vasto terreno ai piedi delle colline, tra Porta Castiglione e la barriera daziale di Santo Stefano, per l'edificazione di un pubblico passeggio. Nello stesso anno l'incarico fu affidato al giardiniere reale conte Ernesto Balbo Bertone di Sambuy, progettista del Parco del Valentino.
L'impegno era di terminare i lavori entro cinque anni, con una spesa non superiore a 163.000 lire. Il giardino venne effettivamente inaugurato nel luglio 1879, con piena soddisfazione del consiglio comunale, che conferì al Sambuy la cittadinanza onoraria di Bologna. Fu intitolato alla Regina Margherita di Savoia, moglie di re Umberto I.
Un busto per Panzacchi
Nel 1907 l'ingresso dei giardini Margherita a Porta Castiglione venne ampliato, con la soppressione del grande lavatoio posto sul canale di Savena davanti alla chiesa della Misericordia. In funzione dal 1872, esso era utilizzato dai "cinni" del popolo come piscina. L'ingresso al giardino fu aumentato e diviso in tre parti, quelle laterali per i pedoni e quella centrale per le carrozze. Venne chiuso con la cancellata della barriera gregoriana di Porta Santo Stefano, divenuta inutile dopo l'allargamento, nel 1902, della cinta daziaria.
Nel giardinetto di fronte al cancello di Porta Castiglione, nel 1912 fu inaugurato un busto di Enrico Panzacchi, opera dello scultore Enrico Barberi. Il discorso celebrativo fu pronunciato da Riccardo Bacchelli. Raffinato oratore, poeta e critico d'arte, Panzacchi fu protagonista della Grande Esposizione Emiliana che si svolse ai Giardini Margherita nel 1888 e fu tra i promotori, nello stesso anno, delle celebrazioni per l'VIII Centenario dell'Università.
La collocazione del busto vicino ai giardini non fu dunque casuale. Ai nostri giorni probabilmente esso contende a quello di Augusto Righi, situato presso l'Istituto di Fisica in via Irnerio, la palma del monumento più ignorato della città. E quello dell'oblio era uno dei più angosciosi timori di Panzacchi, "bella e cara voce della nostra poesia", nell'ultimo periodo della sua vita.
La sua vasta fama di dissolse assieme ai grandi padiglioni dell'Esposizione, progettati da Filippo Buriani e smontati al termine della rassegna sulla base del patto stipulato dal Comune con la contessa Tattini, perché, a detta di Alfredo Testoni, disturbavano la vista sulle sue proprietà. Assieme ad essi sparirono il bel chiosco della Buton, la funicolare Ferretti per San Michele in Bosco, la birreria Finzi, il "lavoriero" per la pesca delle anguille allestito dal Municipio di Comacchio nel laghetto dei giardini e la capanna del Club Alpino Italiano. Infine la grande fontana del Sarti, ornata di leoni e sirene, venne trasferita nei giardini della Montagnola, dove tutt'ora si trova.
Il lago Leonardesco
Il cuore del nuovo parco pubblico era un grazioso laghetto circondato di alberi e piante esotiche, sequoie, bambù, e tipi più comuni quali salici piangenti, pioppi bianchi, frassini e ontani. Il lato orientale era delimitato da una finta scogliera, costruita con blocchi di selenite provenienti dalle vicine cave di Monte Donato.
Nel 1882 sul lago fu inaugurato un servizio di barche da passeggio: canotti a remi e eleganti barche omnibus dai nomi "gentilissimi", dotate di sedili, cuscini e tende. L'ormeggio era collegato tramite una comoda scala a un padiglione di legno costruito sulla riva. La gita in barca sul laghetto dei giardini diventò, quasi subito, una piacevole abitudine per le famiglie e le giovani coppie bolognesi.
E un giro in barca ai giardini è anche al centro della Proclamazione di Bologna città di mare, fatta intorno al 1920 dalla Società degli Achei, gruppo goliardico fondato dal dott. Ezzelino Magli con lo scopo di "stare allegri alla maniera dei buoni petroniani antichi". Ne fecero parte anche gli scrittori Albano Sorbelli e Alfredo Testoni.
Spesso durante l'inverno il laghetto dei giardini era ghiacciato e fino a metà '900 lo Skating Club bolognese ottenne il permesso di utilizzarlo come pista di pattinaggio, con tanto di tribune per gli spettatori. Nel 1914 vi si svolsero insolite feste su ghiaccio alla luce delle lampade di acetilene, le Notti Lapponi.
Un lago Leonardesco è citato nella prosa Scirocco (Bologna) dei Canti Orfici di Dino Campana, al termine di una passeggiata, che porta il poeta dalla sua casa, situata all'inizio di via Castiglione, fin sotto le colline:
per l'arco della porta mi inoltrai nel verde e il cannone tonò il mezzogiorno: solo coi passeri intorno che si commossero in breve volteggio attorno al lago Leonardesco.
Il colpo di cannone, che indicava il mezzogiorno, venne introdotto a Bologna nel 1885 su iniziativa dello scienziato-filantropo Quirico Filopanti, ad imitazione di quello ordinato nel 1847 da Pio IX per regolare le campane di Roma. Era sparato da un obice installato sulla via Panoramica.
L'identità del lago Leonardesco è confermata da una testimonianza rilasciata in manicomio da Campana al dottor Pariani: "il lago ricorda Leonardo, resta fuori di Porta Santo Stefano, nei giardini pubblici".
Gruppi di ragazzi
Parlare di ragazzi che giocano, cantano assieme, si stendono al sole è descrivere la vita dei Giardini Margherita. Fin dalla famosa festa goliardica del 1888, quando gli studenti provenienti da tutta Europa ricevettero doni dal Comitato femminile della Grande Esposizione Emiliana e Guido Podrecca, direttore di "Bononia Ridet", disse che da Bologna era partita "la scintilla goliardica".
Un gruppo speciale di giovani fu quello dei futuristi bolognesi. Scapestrati e anarcoidi, avevano ai Giardini Margherita "il loro quartier invernale, primaverile, estivo e autunnale". Qui si riunivano per leggere Nietzsche e Stirner. Erano "giovani ed adolescenti riottosi e innocentini a un tempo, che si facevano trastullare la mente da materiale infiammabile". (A. Cervellati)
Nel 1919 fondarono una rivista dal titolo "Laghebia", che faceva il verso alla più famosa "Lacerba" di Soffici e Papini. Tra i redattori vi furono i pittori Alessandro Cervellati (nome d'arte Sandrino Ciurvelia) e Ferruccio Giacomelli. Le idee futuriste ebbero però poco seguito a Bologna e il foglio visse per due soli numeri.
Erano poco più che bambini Gaetano e Francesco Arcangeli, futuri poeti e intellettuali bolognesi, durante la "lunghissima implacabile estate" del 1928.
I giardini furono per loro meta di passeggiate e soste all'ombra degli alberi, in solitudine. Poco lontano il pittore Morandi, presenza fatale, ritraeva i campi da gioco del tennis club.
Negli anni Trenta qualcosa ai giardini cambiò. Nell'estate del 1935 si svolse la Mostra nazionale dell'Agricoltura, ordinata per corporazioni. Dei vari padiglioni costruiti per l'occasione, realizzati da architetti modernisti, rimase il bar-ristorante acquario sulla riva del lago, progettato da Melchiorre Bega. Nel 1939 alcuni militi della X Legio reduci dall'Africa - tra essi il bagnino della piscina del Littoriale - regalarono alla città due leoncini e il Comune fece costruire per loro una gabbia con locale interno riscaldato.
Nel 1941 ai giardini pubblici fu impiantato il più grande orto di guerra della città. La tragedia del conflitto mondiale era iniziata e a malapena se ne accorsero i tre ragazzi, studenti universitari in vacanza, "intossicati dall'adolescenza", che si trovavano tra gli scaffali della libreria Cappelli o sui prati dei giardini a parlare di letteratura. Roberto Roversi ha ricordato che, assieme a Pasolini,
il 22 giugno del 1941 eravamo ai giardini Margherita, c'era anche Leonetti e parlavamo di una nuova rivista da fare, il nome che avevamo immaginato era Eredi. Un uomo ci informò che la Russia era stata invasa.
In quel momento i tre ragazzi, infervorati dal loro progetto, da una cosa "finalmente importante" da fare insieme, inebriati dal profumo dei fiori e dal sentimento della loro complicità, che "segnano il corpo, si incidono nella memoria", rinchiusi nel loro gruppo, erano come fuori dal mondo reale.
Dino Campana, Canti orfici, Marradi, Tip. F. Ravagli, 1914, p.152
Alessandro Cervellati, Bologna futurista, Bologna, a cura dell'autore, 1973, p. 15
Francesco Arcangeli maestro e fratello, atti del convegno L'opera e la memoria di Francesco Arcangeli, Palazzo Magnani, Bologna, 12 novembre 2015 e successivi contributi, a cura di Andrea Emiliani, Bologna, Accademia Clementina (ecc.), 2018, p. 60
Carlo Pariani, Vita non romanzata di Dino Campana. Lettere scelte (1910-1931), a cura di Tiziano Gianotti, Firenze, Ponte alle Grazie, 1994, p. 59
Pasolini e Bologna, a cura di Davide Ferrari e Gianni Scalia, Bologna, Pendragon, 1998, p. 56, 93
I portici della poesia: Dino Campana a Bologna (1912-1914), a cura di Marco Antonio Bazzocchi e Gabriel Cacho Millet, Bologna, Pàtron, 2002, p. 79
Roberto Roversi, Gioventù d'un poeta. Gli anni bolognesi di Pasolini nei ricordi di un amico, in: "Bologna incontri", 11-12 (1975), p. 15
Enzo Siciliano, Vita di Pasolini, Milano, Mondadori, 2005, p. 65
Le strade di Bologna. Una guida alfabetica alla storia, ai segreti, all'arte, al folclore (ecc.), a cura di Fabio e Filippo Raffaelli e Athos Vianelli, Roma, Newton periodici, 1988-1989, vol. 2., pp. 357-358