Ti scrivo alle 8 e mezza da questo didietro del caffè Grigioni. Il caffè Grigioni, del resto, dolce amica, accolse a' suoi bei tempi Foscolo capitano cisalpino, e il Monti, aspettante migliori cose nel 1796, e il Rossini; e, paulo minora canamus, il Costa, l'Orioli, eccetera; e vide l'Orioli, archeologo, fisico, epigrafista, poeta, un pò tutto insomma, il 4 febbraio 1831, salito sur un tavolino, non so se questo da cui ti scrivo, proclamare la decadenza del potere temporale dei papi e la rivoluzione ...
(G. Carducci, Lettera a Lina, 13 aprile 1877)
Il Caffè "più che borghese" dei Toscani, poi dei Grigioni, era una delle più antiche botteghe del caffè a Bologna, situata nel primo tratto di via dei Vetturini (poi via Ugo Bassi), sotto il Portico dei Pollaroli (o della Gabella), in angolo con vicolo Ghirlanda e con accesso anche da esso.
A metà del Settecento l'esercizio era gestito da Angiolo Domenichini, che in quel periodo ottenne la licenza governativa per organizzare una lotteria con premi in natura in occasione delle feste di fine anno.
Ritrovo di letterati e di liberali all'epoca di Napoleone - come testimonia la lettera di Carducci - nel periodo della Restaurazione vi andavano invece gli ufficiali austriaci. Un giorno un soldato pontificio entrato per errore - le truppe del Papa erano guardate con grande disprezzo dagli Imperiali - fu dai presenti fatto uscire "con molta prudenza" dal retrobottega.
Secondo le cronache del tempo è ai "Grigioni" che l'8 agosto 1848 scoppiò la scintilla della rivolta dei bolognesi contro gli Austriaci: due di loro entrarono e chiesero ironicamente "due caffè tricolori", suscitando la reazione degli avventori, che li presero a sediate.
L'8 luglio 1854 un gruppo di "azionisti", tutti esponenti della nobiltà e dell'alta borghesia cittadina, promossero nel locale di Palazzo Mattei, già occupato dal vecchio Caffè dei Grigioni, la nascita di un "caffè ristoratore". Venne nominata una commissione "onde garantire i sottoscrittori che i fondi versati (fossero) convenientemente impiegati allo scopo prefisso".
Il locale fu tra i primi a Bologna a sperimentare lo spettacolo del caffè-concerto. Ai tempi della Grande Esposizione "un modesto concerto composto di 4 o 5 suonatori allietava la domenica sera gli avventori che occupavano quasi tutto il portico".
Carducci vi si rifugiava
Il caffè fu frequentato da Giosuè Carducci negli anni della sua relazione amorosa con Carolina Cristofori (Lina o Lidia), moglie del colonnello Piva, una storia intricata, che coinvolse all'inizio l'amica di lei, Maria Antonietta Torriani, il direttore della Lega per l'Istruzione del Popolo Raffaele Belluzzi e il "luminoso idolo dei salotti e ambito cavaliere delle dame petroniane" Enrico Panzacchi.
Lina si invaghì del poeta senza neanche conoscerlo, solo leggendo i suoi versi. In una lettera espresse la sua ammirazione:
Mi sono abbandonata con delirio alla lettura de' suoi bei versi, e spesso ho baciato anche il libro, parendomi che non bastasse averlo impresso nella memoria.
Dopo un iniziale distacco, Carducci fu travolto dalla passione. Mentre per Olindo Guerrini la signora non era particolarmente attraente, Carducci la trovava
bella per agil persona; per un ovale di viso greco e intorneato di bei capelli castagni, per soavissima e melodiosa voce.
Maliziosa, ma schietta, capricciosa, ma anche capace "di abbandoni naturali che le più donne non hanno".
Il rapporto tra i due rimase comunque soprattutto epistolare. Gli amanti si incontravano piuttosto raramente, di nascosto e per brevi momenti. Lidia ebbe il merito di rinvigorire l'ispirazione del poeta, che per lei scrisse alcune delle più belle Odi barbare.
Il 26 maggio 1872, seduto a un tavolino dei Grigioni "con un grog dinanzi" e intorno la musica infernale "di due violini e di tre biliardi e di molte voci contendenti", il poeta scrive all'amata, pregandola di indirizzare le sue lettere a Enotrio Romano (fermo in posta) e proprio in questo Caffè, per evitare le rappresaglie del "piccolo feudalesimo coniugale". Dopo lutti recenti Carducci vuole respirare aria fresca, desidera nuovi affetti, vuole "evadere dal cerchio solitario di tenebroso e austero 'petroliere' ".
Tra il 1876 e il 1880 Carducci arrivava ai Grigioni dopo le 8, quando usciva di casa per prendere il caffè e una boccata d'aria. Di solito incontrava qui Ugo Brilli e Severino Ferrari, due discepoli ai quali era molto legato "e che gli erano affezionatissimi", più raramente qualche collega.
Dopo un caffè e due chiacchere, il professore usciva di nuovo a passeggiare, per concludere la sua giornata da Rovinazzi o da Cillario o in qualche osteria fuori porta.
- Serena Bersani, 101 donne che hanno fatto grande Bologna, Roma, Newton Compton, 2012, pp.191-193
- I caffè storici in Emilia-Romagna e Montefeltro, a cura di Giancarlo Roversi, Casalecchio di Reno, Grafis, 1994
- Carducci e Bologna, a cura di Gina Fasoli, Mario Saccenti, Bologna, Cassa di Risparmio, 1985, pp. 102-104
- Giuseppe Chiarini, Memorie della vita di Giosue Carducci, 1835-1907, raccolte da un amico (Giuseppe Chiarini), 2. ed. corretta e accresciuta, Firenze, G. Barbera, 1907, p. 237
- Una città italiana. Immagini dell'Ottocento bolognese, a cura di Franco Cristofori, Bologna, Alfa, 1965, pp. 85-86
- Claudia Culiersi, Paolo Culiersi, Carducci bolognese, Bologna, Patron, 2006, pp. 24-25, 112-114
- L'Emilia Romagna com'era. Alberghi, caffè, locande, osterie, ristoranti, trattorie. Sulle tracce di un passato recente alla riscoperta dei segni mutati o cambiati di una secolare tradizione d'ospitalità, a cura di Alessandro Molinari Pradelli, Roma, Newton Compton, 1987, pp. 23-24
- Giosue Carducci e i carducciani nella Certosa di Bologna, Bologna, Comune, 2007, p. 17 (C. Cristofori Piva)
- Alessandro Molinari Pradelli, Bologna in vetrina: dall'Unità d'Italia alla Belle Epoque, Bologna, L'inchiostro blu, Cassa di Risparmio in Bologna, 1994, p. 241
- Marco Poli, La Bologna dei caffè, Bologna, Costa, 2005, p. 11