I fasci padani rigettano il patto con i socialisti
I rappresentanti di oltre seicento Fasci della Val Padana, riuniti nel ridotto del Teatro comunale di Bologna, contestano l'accordo di pacificazione con i socialisti firmato a Roma il 2 agosto.
Dichiarano di non volere avere nulla a che fare con "certi insidiosi patti" e proclamano la guerra ad oltranza contro i partiti e le organizzazioni sindacali di sinistra.
“Mentre da Milano si invoca la disciplina e si deplorano le nostre violenze - protesta Gino Baroncini - nelle camere del lavoro si organizzano sfacciatamente gli arditi del popolo”.
I muri del centro cittadino sono tappezzati di manifesti ostili a Mussolini, autore dell'accordo: "Chi ha tradito, tradirà". Per molti il Duce vuole sacrificare il fascismo ai marxisti per soddisfare la sua ambizione personale.
Anche i Sempre Pronti per la Patria e per il Re di Dino Zanetti ritengono il patto di pacificazione perlomento inopportuno.
Dino Grandi (1895-1988), Italo Balbo (1896-1940) e altri ras locali creano una fronda, che contempla l'ipotesi di sostituire il Duce con D'Annunzio alla guida del movimento. Viene avanzata la proposta di un "blocco fascista Veneto-Emiliano-Romagnolo-Toscano- Marchigiano-Umbro con quotidiano proprio".
Grandi - accusato da Mussolini di essere venuto al fascismo solo da pochi mesi - è in questa fase il vero teorico dell'opposizione, il portavoce del fascismo "delle nuove generazioni" contro il "vecchio" fascismo milanese. L'avvocato di Mordano si pronuncerà per il completamento della rivoluzione contro il compromesso parlamentare.
Mussolini reagirà dichiarando che il fascismo potrà "dividersi, scomporsi, frantumarsi, decadere, tramontare" e che, se sarà necessario, lui stesso darà "martellate potenti, per affrettare la sua rovina". Dirà che, se il fascismo può fare a meno di lui, anche lui potrà benissimo fare a meno del fascismo.
Subito dopo la riunione di Bologna darà le dimissioni dalla Commissione Esecutiva dei Fasci, dichiarando che il fascismo è ormai diventato "un puro, autentico ed esclusivo movimento di conservazione e di reazione".
Sfumato il patto di pacificazione coi socialisti, il Duce sarà avvicinato - anche in questo caso invano - da Nicola Bombacci, per un patto tra comunisti e fascisti contro il massimalismo socialista.
La resa dei conti all'interno del movimento fascista avverrà al Congresso di Roma del novembre. In quella occasione Grandi eviterà una rottura definitiva con il Duce, avviandosi a una carriera politica luminosa nel Regime.
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