R. Viganò - Posto di ristoro
"Posto di ristoro", brutto nome, questo per noi di Bologna. Posto di ristoro si chiamava un pezzo di muro e di marciapiede dove sono stati fucilati tanti partigiani. Stavano lì, i morti, con le mosche sopra, e le madri urlavano nella piazza. Ma quelli delle brigate nere, con le facce magre e crudeli, gli occhi febbrili per l'odio e la paura, non lasciavano venire avanti nessuno, spianavano i mitra davanti al dolore, davanti al diritto amoroso delle donne che piangevano, non volevano sentir niente, non pensavano di crearsi per il domani e per sempre un tremendo peso di responsabilità. Stavano lì, i corpi dei fucilati, sul marciapiede vicino al muro del palazzo del Comune. Allineati, rigidi, terribili: avevano i visi neri di sangue per le botte, botte vecchie dei primi momenti della cattura, e mai erano riusciti a lavarselo dalle ferite. Poi erano venuti altri colpi, di cui non si vedeva la traccia, colpi bassi e traditori ai reni, all'inguine, al ventre. Male di dentro, negli organi della vita. E infine la raffica contro il petto o nella schiena, con nuovo sangue rosso e vivace, sangue buono di giovani, che continuava a venire sui morti col suo colore. Era per quel colore e per quell'odore che venivano a sciami le mosche. Questo si chiamava, a Bologna, nel 1944, "Posto di ristoro", e il nome amaro lo trovò una donna, una di queste nostre belve casalinghe che facevano l'amore coi tedeschi e coi fascisti.
(R. Viganò)