Palazzo Poggi - Università degli Studi

via Zamboni, 33

Appoggiato alla lunga canna, con cui veniva mostrando i particolari, un pò curvo, ma di anatomia possente anche lui, come i grandi vecchi della Sistina, ansando leggermente, col respiro fitto del grande fumatore, Longhi premeva il campanello che avvertiva il tecnico di cambiare l'immagine; e intanto raccontava altre vicende bellissime e veneziane tra la fine del '400 e l'inizio del '500. A volte si chinava a massaggiarsi una caviglia, a volte scrutava verso di noi nel buio, ed era come se ci sentissimo chiamati da una vocazione che era la storia dell'arte.

(G. Spettoli Lollini)

Istituto delle Scienze

Il palazzo di via San Donato, ampliato alla metà del XVI secolo come principesca dimora del cardinale Giovanni Poggi dall'architetto Bartolomeo Triachini, fu acquistato dal Senato bolognese all'inizio del '700 per destinarlo a sede dell'Istituto marsiliano delle Scienze.

Prima dell'apertura, avvenuta nel 1714, fu avviata la costruzione della Specola, la torre dell'osservatorio astronomico, condotta dall'architetto Giuseppe Antonio Torri, con la supervisione del matematico Eustachio Manfredi, mentre alcuni anni dopo fu allestita la prima parte della biblioteca, prevista nella convenzione iniziale.

Nel corso del secolo l'Istituto, con le sue collezioni di strumenti scientifici e le cere anatomiche, divenne meta di scienziati e di viaggiatori del Gran Tour.

Sede dell'Università

In epoca napoleonica, dopo la riforma della Pubblica Istruzione operata nel 1802, il palazzo dell'Istituto fu destinato ad accogliere "scuole diverse": oltre allo stesso Istituto Nazionale, i gabinetti scientifici e le aule dell'Università, mentre l'ex noviziato dei Gesuiti di S. Ignazio in Borgo Paglia ospitò l'Accademia di Belle Arti, la Pinacoteca, l'Aula Magna e il Teatro Anatomico.

Ad essi si aggiunsero, a completare un nuovo, articolato, polo degli studi nel settore nord-orientale della città, il Liceo musicale nell'ex convento di San Giacomo, l'Orto Botanico e l'Orto Agrario nei terreni della delizia della Viola.

Nel 1804 fu sospesa l'attività dell'Accademia delle Scienze, associata all'Istituto e protetta da papa Benedetto XIV. Riattivata nel 1829 per decreto di papa Pio VIII, essa venne sistemata nella Cà Granda dei Malvezzi attigua a Palazzo Poggi, acquisita dall'Alma Mater nel 1827.

L'Istituto delle Scienze, invece, fu abolito nel 1814 e non fu più ripristinato. I suoi preziosi materiali vennero distribuiti tra vari laboratori dell'Ateneo.

Dopo il ritorno del potere papale l'Università riaprì nel novembre 1815 largamente epurata degli insegnanti compromessi col precedente regime. La Facoltà Teologica fu allargata a sette cattedre e furono mantenuti gli insegnamenti di Lingua greca e Lingue orientali tenuti dal celebre poliglotta Giuseppe Mezzofanti, e quello di Antiquaria e Numismatica condotto da Filippo Schiassi.

Tra i professori più prestigiosi di questo periodo vi furono il dottor Giacomo Tommasini, dal 1816 docente di Clinica medica e promotore della Nuova Dottrina Medica Italiana, il suo collega Vincenzo Valorani, singolare figura di scienziato e  poeta, il prof. Francesco Orioli, uomo di ingegno multiforme.

Restaurazione all'Alma Mater

Nel 1824, con la bolla di papa Leone XII "Quod divina sapienza", l'Università di Bologna fu dichiarata primaria, cioè l'unica dello Stato Pontificio, assieme a quella romana, abilitata a rilasciare lauree. Il cardinale Oppizzoni fu nominato Arcicancelliere e vennero ricostituiti i collegi di nomina papale. La vita degli studenti fu sottoposta a minuziosi doveri e obblighi religiosi. Vennero inoltre soppressi alcuni insegnamenti avviati in età napoleonica, giudicati pericolosi o inopportuni, come quello di Economa pubblica del prof. Luigi Valeriani.

Nel 1826 fu creata la Facoltà Filologica, che annoverò tra i suoi docenti il grecista Massimiliano Angelelli, ma non ebbe grandi possibilità di incidere nella cultura dell'epoca. L'istituzione nel 1831 della cattedra di Analisi delle idee, tenuta dal filosofo e letterato classicista Paolo Costa, fu effimera quanto l'esperienza della rivoluzione municipale.

Fino alla fine dell'occupazione austriaca e alla caduta del potere pontificio nel 1859, l'edificio di Palazzo Poggi non subì grandi modificazioni, segnale di una generale stagnazione degli studi.

Il professor Carducci

L'Ateneo bolognese, dal passato prestigioso, all'indomani dell'Unità d'Italia era ridotto a una povera Università provinciale. Fra i professori chiamati dal ministro Mamiani a risollevarne le sorti vi fu il giovane poeta toscano Giosuè Carducci, che per lunghi anni insegnò in una modesta aula "che si trova nell'atrio a sinistra, subito dopo la portineria", rispetto all'ingresso principale di Palazzo Poggi.

Non grande, quasi quadrata, chiara, che prendeva luce da due finestroni larghi sul cortile, e separata e isolata dal corridoio esterno mediante una stanza d'ingresso egualmente grande, buona alle soste e alle ciarle negli intermezzi, deposito di pastrani e di libri. (M. Valgimigli)

Quando il professore arrivò a Bologna, nel novembre 1860, l'Università contava circa trecento iscritti, dei quali nessuno alla facoltà di Lettere.

Da allora si assunse con impegno e costanza il compito gravoso di restituire serietà e dignità allo studio della lingua e della letteratura italiana, a partire dai classici.

Carducci entrava in aula nei giorni dispari, alle tre del pomeriggio, si toglieva il cappello, scrutava brevemente l'uditorio e cominciava la sua lezione, per tanti anni sempre diversa.

Era scuola di erudizione e di filologia, pur tra i lampi di una fantasia geniale; vi si discorreva spesso di poesia, ma di quella dei grandi classici; e non vi si ammettevano gli allettamenti della critica estetica o della prosa amena.

Era orientata a formare insegnanti di lettere e non letterati ed ebbe tra i suoi allievi alcuni protagonisti della cultura italiana tra '800 e '900, quali Giovanni Pascoli, Renato Serra, Corrado Ricci, Severino Ferrari, Ugo Brilli, Giovanni Federzoni, Albano Sorbelli, Manara Valgimigli, Alfredo Panzini. Con alcuni di essi instaurò un rapporto di affetto profondo e duraturo. A Severino Ferrari scrisse un giorno:

Intanto Ella non si stanchi di volermi bene. Io vivo oramai in voi giovani che mi avete conosciuto nel bene e nel male.

Ed ugualmente in altra occasione:

Addio, amici giovani. L'anima mia è triste, ma pensando a voi mi sento qualche puntura nel cuore e negli occhi perchè vi amo.

Al contrario fu sempre molto insofferente verso chi veniva alle sue lezioni come uno spettatore a teatro:

Io non sono un tenore, io non sono una ballerina, io non faccio oratoria né bella letteratura, è inutile che lor signori si siano scomodati, già non capiranno niente, io faccio filologia, e oggi particolarissimamente sarò noiosissimo.

A lezione da Roberto Longhi

Le lezioni di Longhi, hanno rappresentato un momento di intensa rilevanza. Anzi, se aprissimo una riflessione su Longhi e sulle persone che allora frequentavano le sue lezioni, ci sarebbe da ricostruire un pezzo di storia della cultura non solo relativa a Bologna ...
(G.M. Anselmi)

Lo studioso e critico d'arte Roberto Longhi, che nel 1934 ottenne la cattedra di Storia dell'Arte Medievale e Moderna, lasciò un segno profondo nella storia dell'Università bolognese nel corso del '900.

Il 1° dicembre 1934 il nuovo professore pronunciò "con in bocca un piccolo sigaro insolente" (Bertolucci) una celebre prolusione per l'apertura del nuovo anno accademico, nella quale propose un radicale ripensamento delle vicende e dei valori dell'arte bolognese ed emiliana, da Vitale degli Equi a Giorgio Morandi, individuando una linea di realismo "aspro e dolcissimo, anticlassico e visionario, dialettale e colto ad un tempo" ad essa del tutto peculiare.

Tra gli uditori dei primi corsi di Longhi, nella buia auletta dell'Istituto di Storia dell'Arte, al pianterreno di Palazzo Poggi, divenuta in piena guerra un' "isola deserta nel cuore di una notte senza più luce", vi furono alcuni giovani intellettuali emiliani, allora studenti nell'Università bolognese: Attilio Bertolucci, Pier Paolo Pasolini, Giorgio Bassani, Francesco Arcangeli, Giuliano Briganti tra gli altri.

Essi riconobbero nel professore di Alba un vero maestro, capace di inserire l'opera d'arte in un vasto contesto di storia e cultura, con "termini narrativi di alta fattura".

A lui andò il merito di aver aperto nuove prospettive critiche e suscitato negli allievi un inedito interesse verso le arti. La sua figura intellettuale influenzò notevolmente le loro scelte artistiche e i loro percorsi, lasciando una evidente traccia del suo insegnamento nei loro scritti.

Pasolini, che nell'inverno 1941-1942 seguì il corso sui Fatti di Masolino e Masaccio, visse il personaggio Longhi come una rivelazione, per "il suo umile e lucido ascetismo di osservatore del moto delle forme". Le dispense del professore, l'album con le 392 tavole mostrate a lezione - "impressionante dimostrazione visiva" -, le proiezioni e il commento delle diapositive avrebbero influenzato il suo modo di fare cinema, sarebbero state da lui viste come "una chiave per penetrare, attraverso il filtro dell'arte, le invarianti sociali e antropologiche della realtà italiana romanza".

La lezione di Longhi traspare evidente, in dettaglio, in questa descrizione del suo operare:

Quello che io ho in testa come visione, come campo visivo, sono gli affreschi di Masaccio, di Giotto ... e non riesco a concepire immagini, paesaggi, composizioni di figure al di fuori di questa mia iniziale passione pittorica, trecentesca, che ha l'uomo come centro di ogni prospettiva. Quindi, quando le mie immagini sono in movimento, sono in movimento un pò come se l'obiettivo si muovesse su loro sopra un quadro.

(P.P. Pasolini, Mamma Roma, Milano, 1962, p. 145)

Approfondimenti
  • Claudia Culiersi, Paolo Culiersi, Carducci bolognese, Bologna, Patron, 2006, p. 29
  • Carlo Donati, Strada Nove. La via Emilia e le sue curve, Ancona, Affinità elettive, 2020, vol. 1., pp. 236-237
  • Giuseppe Lipparini, L'innamorato di Bologna e altre pagine bolognesi, Bologna, Boni, 2001, pp. 108-109
  • Maria Panetta, Nel segno del magistero longhiano, in: Atlante dei movimenti culturali dell'Emilia-Romagna. Dall'Ottocento al contemporaneo, a cura di Piero Pieri e Luigi Weber, Bologna, CLUEB, 2010, vol. 2., pp. 45-62
  • Pasolini e Bologna, a cura di Davide Ferrari e Gianni Scalia, Bologna, Pendragon, 1998, pp. 15, 47-65
  • Palazzo Poggi. Da dimora aristocratica a sede dell'Università di Bologna, a cura di Anna Ottani Cavina, Bologna, Nuova Alfa Editoriale, 1988
  • Enzo Siciliano, Vita di Pasolini, Milano, Mondadori, 2005, p. 269
  • Gertrude Spettoli Lollini, L'Istituto di Storia dell'Arte dell'Università di Bologna, in: F.I.L.D.I.S., Cenacoli a Bologna, Bologna, Parma, 1988, pp. 20-24
  • Manara Valgimigli, Uomini e scrittori del mio tempo, Firenze, G.C. Sansoni, 1965, p. 6