A Bologna - attorno a lui - di persone "disamorate dell'ambiente" se ne sono sempre viste poche. Al contrario, si sono se mai viste persone che se ne sono andate a malincuore e che avrebbero voluto restare ...
(C. Paolucci)
La Bologna amata da Umberto Eco non era solo quella delle aule universitarie e degli istituti da lui diretti, ma erano anche i bar, le pizzerie, le trattorie, i portici dove le lezioni e le conversazioni con gli studenti e i colleghi continuavano in modo amichevole e informale.
Il suo studio in via Toffano 2/2 era pieno di libri, più di ogni altro luogo da lui abitato o frequentato in città. Lì riceveva gli studenti, cercando di metterli a loro agio, non amava chiamarli "allievi".
Il professor Eco arrivò a Bologna da Firenze all'inizio degli anni Settanta, chiamato da Benedetto Marzullo per insegnare al nuovo corso di laurea del DAMS. In seguito creò la facoltà di Scienze della comunicazione, ormai affermato studioso e teorico della semiotica, disciplina che lo ebbe tra i massimi esponenti a livello mondiale.
Frequentava anche l'ambiente letterario, fu tra i fondatori del Gruppo 63. Nel 1980 esordì col romanzo Il nome della rosa, che divenne un best-seller, un successo planetario, l'opera del Novecento italiano più tradotta al mondo.
Un successo che non cambiò però più di tanto le sue abitudini, a Bologna, di insegnante e studioso sempre concentrato, occupato a far fruttare il suo tempo, con spirito e leggerezza.
- Claudio Paolucci, Umberto Eco. Tra ordine e avventura, Milano, Feltrinelli, 2017