Francesco Calzolari torturato e ucciso

24 giugno 1944, 00:00

Durante una perlustrazione a Montasico, frazione collinare del comune di Marzabotto, una pattuglia di soldati tedeschi si imbatte in alcuni partigiani della Brigata Stella Rossa, mentre escono da un'osteria, dove si sono riforniti di tabacco.

Subito vien messo mano alle armi e nella sparatoria un soldato e due “ribelli” rimangono uccisi: Ivo Rasini (1924-1944) di Grizzana e un giovane che rimarrà sconosciuto.

Un terzo partigiano, ferito, riesce a rifugiarsi in un bosco vicino. Si tratta di Francesco Calzolari (1926-1944), originario della Quercia, località della Valle del Setta prossima a Rioveggio.

Per due giorni rimane nascosto nel folto. Il 24 giugno, durante un rastrellamento tedesco nella zona di Monte Vignola, viene scovato e trascinato a Vedegheto. Lo vedono passare circondato dai soldati con “il capo ferito, il collo sanguinante, il volto sofferente, triste e rassegnato” (D. Zanini).

Nei pressi del mulino, che si trova al'ingresso del paese, viene interrogato duramente e sviene più volte. I nazisti lo rianimano buttandogli addosso secchi d'acqua e ricominciano a picchiarlo.

Da lui vogliono sapere l'ubicazione dei vari distaccamenti della Stella Rossa. Evidentemente non ottengono confessioni e allora, spazientiti, decidono di finirlo.

Lo impiccano ad un olmo - la sua morte e l'ostensione del suo corpo martoriato devono servire da monito per la popolazione - ma la corda si spezza e allora lo finiscono con la mitraglia. Il suo cadavere rimarrà per tre giorni insepolto.

Nel dopoguerra a Francesco Calzolari sarà assegnata la Medaglia d'Oro al Valore - una delle quattro del sacrario di Marzabotto, con Mario Musolesi, Gastone Rossi e don Giovanni Fornasini  - con questa motivazione:

“Valoroso combattente, era tra i primi a costituire le formazioni partigiane della sua zona e a partecipare con esse a numerose azioni, distinguendosi per coraggio e sprezzo del pericolo.

Nel corso di un sanguinoso combattimento contro superiori forze avversarie, rimasto gravemente ferito, rifiutava ogni soccorso e continuava a fare fuoco con la sua mitragliatrice, fino a quando veniva catturato.

Sottoposto alle più atroci torture, rifiutava di rivelare le notizie richiestegli. Con le carni straziate per la ferita precedentemente riportata, con la febbre che lo bruciava, gridava all'avversario l'odio che lo dominava.

A tanto eroico comportamento il nemico rispondeva barbaramente trucidandolo ed occultandone le spoglie. Nobile esempio di fierezza e d'amor di Patria”.

Approfondimenti
  • Il mestiere delle armi: Guida ai sacrari e ai musei militari, a cura di Chiara Mercuri, Roma, All Around, 2020, p. 29
  • Dario Zanini, Marzabotto e dintorni, 1944, Bologna, Ponte nuovo, 1996, pp. 135-137, 142-144