Il centro sociale autogestito Fabbrika

28 dicembre 1990, 00:00

Poliziotti e carabinieri in tenuta antisommossa, assieme a operai di una impresa edile con il volto coperto, entrano nell'ex area industriale Fervet in via Mascherino 2, da alcuni mesi sede del centro sociale autogestito Fabbrika.

In pochi giorni il complesso sarà demolito. Negli enormi capannoni, dove un tempo circa 500 lavoratori producevano infissi metallici e cariole, operavano diversi gruppi: si tenevano concerti, jam session, corsi di lingue e di teatro, proiezioni di film.

Erano attivi il laboratorio spontaneo, il collettivo Damsterdamned (cinema e musica), Multimedia Attack, il Teatro Esule di Eugenio Ravo, Deco Mela Art, atelier e mercatino di artigianato artistico.

All'interno della Fabbrika si era sviluppato il progetto del collettivo Arti/Interrotte, sorto per la creazione e la proliferazione di spazi artistici alternativi, mentre il collettivo Senza Frontiere aveva creato un ricovero per alcune decine di immigrati, che dormivano all'aperto nel quartiere San Donato.

Questa iniziativa sarà trasferita, dopo lo sgombero del 28 dicembre, in due palazzi dello IACP di via Stalingrado, dove le persone ospitate saliranno a 300, facendo emergere in modo clamoroso il problema della presenza in città di tanti immigrati extracomunitari.

Approfondimenti
  • Serafino D'Onofrio, Valerio Monteventi, Berretta rossa. Storie di Bologna attraverso i centri sociali, Bologna, Pendragon, 2011, pp. 81-89
  • Pensatevi liberi, Bologna Rock, 1979, a cura di Oderso Rubini, Anna Persiani, Bologna, Beatsream, 2019, p. 245