Casa d'Industria e orfanotrofio in San Leonardo
L'Orfanotrofio istituito nel XVI secolo nell'ampio e salubre monastero dei Cistercensi di via San Vitale (poi delle monache di San Leonardo e Orsola) ospita "fanciulli d'ambo i sessi che per morte d'uno o d'entrambi i genitori fossero ridotti nell'estrema indigenza".
I maschi vi sono trattenuti dagli 8 ai 18 anni, le femmine dagli 8 ai 21 anni. Vengono istruiti "nel leggere, scrivere, aritmetica e nell'esercizio di un mestiere".
Nel 1809 vi è unito il Reclusorio dei Raminghi, fondato nel 1797 da Marcantonio Aldo come "rifugio di poveri fanciulli".
Fino al 1918 saranno qui ospitate alcune decine di orfane mendicanti, accolte tra i sette e i nove anni e "messe a servizio di oneste famiglie" al raggiungimento della maggiore età.
Nel 1859 l'Orfanotrofio passerà alla Congregazione di Carità e nel 1864 all'Istituto Vittorio Emanuele II.
Nel 1810 la chiesa annessa all'ex convento sarà ridotta a magazzino di canapa della Casa di industria. Verrà riaperta al culto nel 1822 grazie all'Opera dei Mendicanti.
Dal 1809 nel complesso di San Leonardo la Congregazione di Carità allestisce, per decreto del Vicerè Eugenio Beauharnais, la Regia Casa d'Industria, al fine di “togliere l'abuso della questua”.
Vi sono accolti i mendicanti abili al lavoro, ai quali vengono assegnate mansioni e lavorazioni, che possono essere svolte anche a domicilio. I prodotti sono destinati soprattutto ai luoghi pii e alle carceri, oppure venduti ai prezzi stabiliti dalla direzione.
L'inizio e la fine del lavoro nello stabilimento tessile è scandito dal suono della campana della torre Asinelli. I rintocchi sono rivolti agli operai, ma anche ai cittadini, che così possono evitare l'incontro con i lavoratori-mendicanti (Giordano).
Nell'ex convento di San Gregorio dei Mendicanti, fuori Porta Maggiore, sono invece raccolti i questuanti invalidi, che vengono mantenuti a spese pubbliche.
Un piano per l'apertura di reclusori per i disoccupati era già stato studiato, negli anni precedenti, dal senatore Malvasia, rappresentante della Deputazione dei Veli.
Fino al 1813 la Casa d'Industria sarà gestita dalla Congregazione di Carità e diretta dall'ex senatore Pietro Pietramellara. In seguito sarà assegnata a un appaltatore privato e verserà a lungo, come altri istituti assitenziali, in condizioni critiche:
"Negli Stabilimenti, al lavoro erasi sostituito l'ozio, l'ascetismo; all'istruzione, l'oracolare dei Direttori Spirituali".
Dopo vari cambi di gestione, nel 1820 la Casa d'Industria verrà chiusa e trasformata in uno stabilimento privato, chiamato Casa Provinciale del Lavoro.
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- Serafino Biffi, Sui riformatori pei giovani, in: “Memorie del Reale Istituto lombardo di scienze e lettere. Classe di lettere e scienze morali e politiche”, 11 (1870), p. 149
- Tommaso de' Buoi, Diario delle cose principali accadute nella città di Bologna dall'anno 1796 fino all'anno 1821, a cura di Silvia Benati, Mirtide Gavelli e Fiorenza Tarozzi, Bologna, Bononia University Press, 2005, p. 212, 504, nota 9
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