Arte pubblica a Bologna
Una parte della scultura bolognese in epoca fascista, forse la più significativa, fu arte per il popolo, destinata ad esaltare alcune idee forza del Regime o a decorare i luoghi simbolo della città moderna. Accantonata assieme al ricordo di una esperienza storica negativa, travolta dal mutare del gusto e degli stili, la scultura pubblica di Bologna ha subito uno strano destino: è ancora ben presente per le strade, ma risulta quasi invisibile.
È vero che nel Ventennio non furono innalzati monumenti davvero importanti, tali da figurare nelle guide turistiche, a parte forse il fastoso mausoleo di Carducci; oppure per qualche motivo non sono rimasti (e il rimpianto va almeno alla fontana dei caduti della Direttissima, sbriciolata dalle bombe alleate). Anche la retorica per fortuna ha ceduto il passo a una sorta di eroismo di basso profilo, che ha privilegiato figure di operai, contadini e sportivi in gesti quotidiani e comuni e ha nascosto quasi con pudore figure più ieratiche e connotate. Vale quindi la pena conoscere e guardare, alzare gli occhi ai rilievi plastici del Palazzo del Gas o della Casa del Contadino (poi sede CGIL) in via Marconi, alle mamme della palazzina ONMI, ma anche agli atleti del liceo Righi e ai motociclisti della Certosa, con le braccia tese nel saluto dell'epoca. Vale la pena infine seguire il racconto silenzioso della Resistenza nelle statue e nei rilievi, a porta Lame, alla Montagnola, sull'ossario partigiano, e rendere omaggio così a coloro che, lottando contro la dittatura e l'occupazione nazista, ci hanno donato settanta anni di libertà e di pace.