Severino Ferrari
Mi par di vederlo e di sentirlo ancora, in piedi fra le due prime file di banchi, col volume sacro in mano, declamar terzine con la voce dolce dalla pronuncia un poco blesa, mentre gli occhi miti e chiari ci cercavano e ci indagavano, come a scrutare nei nostri volti l'effetto di quella bellezza rivelata.
(G. Lipparini)
"Poeta di gentile arte e umanissimo cuore", Severino Ferrari nasce nel 1856 a San Pietro Capofiume di Molinella, nella frazione di Alberino, figlio di un medico condotto. Tra il 1865 e il 1870 frequenta a Bologna il Collegio Ungarelli.
Nel 1873 conosce Giovanni Pascoli per alcune ripetizioni di latino e fra loro nasce un'amicizia fraterna destinata a durare (con qualche ombra) tutta la vita. Il poeta romagnolo lo chiamerà scherzosamente Ridiverde e lui ricambierà assegnandogli il nomignolo di Gianni Schicchi.
Dopo gli studi al ginnasio e al liceo di Bologna, nel 1874 Severino si iscrive alla Facoltà di Filosofia dell'Alma Mater. Ha come compagni e amici Ugo Brilli e Giovanni Pascoli. Nell'ambiente universitario conosce e frequenta Andrea Costa e, come Pascoli, aderisce agli ideali socialisti da lui propugnati. L'anno seguente, però, si trasferisce a Firenze, dove si laurea in filosofia nel 1878 e in filologia nel 1882.
Nell'estate 1876 conosce Giosuè Carducci, del quale diviene allievo a Bologna. Per il maestro prova grande stima e una devozione filiale. Da lui trae il "culto della poesia, esercitato col rispetto e con lo studio particolare e paziente dell'opera e della tecnica dei grandi" (Serra). Con lui curerà nel 1899 una prestigiosa edizione commentata del Canzoniere di Petrarca.
Carducci chiama Severino "caro amico e figlio" e gli scrive: "Tu hai l'anima buona e profonda l'intuizione della poesia". Considera i suoi versi "tutt'insieme una consolazione anche più che una meraviglia". Nel 1881 gli scrive a Macerata, dove insegna:
Comincio bene l'anno scrivendo a lei giovane, sul quale, e su due o tre altri, ho raccolto tutto l'amore che mi rimane nell'animo poco consolato; ed è pure molto. Mi voglia bene. La benedico come se fosse mio figlio.
Manara Valgimigli ha scritto che
Severino fu l'amico di tutte le ore e di tutti gli umori; era capace lui solo, o che con quella sua voce un pò cantante dicesse un verso, o che con quella faccia che sapeva fare meravigliosamente stupita e scimunita dicesse una scipitaggine, perchè il Carducci tornasse allegro.
Carducci si incantava a sentire leggere versi "con purezza e schiettezza" e Severino era in questo particolarmente bravo:
in certi momenti o torbidi o irosi, così, senza nemmen farsene accorgere, con quella sua voce un poco blesa e incantata, incominciava a dire un verso o una strofa; e il Carducci guardava, ascoltava, seguiva i versi con un lieve moto della mano, e già era ammansito e placato.
Nel 1877 a Firenze Ferrari fonda, con alcuni amici studenti, tra i quali Ugo Brilli, la rivista "I nuovi goliardi", di breve durata. Vi fa il suo esordio come critico con un saggio su Parini e cura la pubblicazione di alcuni madrigali di Strozzi. Intanto compone poesie "di evidente intonazione carducciana".
Nel 1879 accetta una supplenza al ginnasio "Guinizelli" di Bologna, mentre segue i corsi di perfezionamento del Maestro all'Università.
Nel 1881 Carducci gli scrive queste parole: "Ella ha, e la serberà sempre, la religione dell'arte e della verità, che è il sentimento della sublime dignità umana, la religione dell'ideale umano". All'allievo che si lamenta dell'incarico lontano da Bologna, risponde così:
Che ella ne pensi o dica, ho caro che stia costì. Non perda il tempo a lamentarsi e a fantasticare. Studiar bene - storicamente e filologicamente - i classici si può anche in Macerata.
Nel 1884 pubblica, presso Sommaruga, il poemetto satirico Il Mago, "dalle piccole mordacità", frutto delle polemiche dei goliardi fiorentini contro i nemici di Carducci, mentre l'anno seguente dà alle stampe i Bordatini, raccolta di quattordici componimenti (ballate, madrigali, ecc.), dove sperimenta quella contaminazione tra poesia colta e popolare per cui sarà conosciuto in ambito letterario. Prima di essere licenziati, entrambe i lavori vengono sottoposti alla "lima d'oro" di Schicchi (G. Pascoli), che in questo periodo insegna a Massa. A Giovanni sarà dedicato il primo libro.
I Bordatini sono un "indimenticabile libretto" con i ricordi dell'Alberino, il luogo della campagna bolognese da cui il poeta proviene:
Il cuor, che in picciol borgo nacque, pur là rimase,
ove non è che un argine, cinque olmi, e quattro case.
Sono il momento più alto della produzione poetica di Ferrari, che qui si rivela "semplice e delicatissimo ad un tempo, per una naturale squisitezza di sensibilità" e che in seguito sarà soggiogato dall'ingombrante personalità di Carducci:
Severino Ferrari ci mostra il caso unico, credo, nella storia della letteratura, d'un poeta che comincia là dove gli altri sperano di finire e finisce là onde gli altri si adattano a cominciare, poiché procede a grado a grado dall'originalità alla servitù intellettuale (Federzoni).
A La Spezia, dove da alcuni anni è insegnante di Lettere al Liceo, sposa nel 1886 Ida Gini, la sua musa poetica. Nell'occasione l'amico Pascoli pubblica l'Ultima passeggiata, poemetto di otto madrigali, e la ballata Crepuscolo.
Insegna in varie città - Reggio Calabria, Faenza, Palermo, Modena - mantenendo sempre Bologna come sua patria di riferimento. Dedica i suoi studi all'edizione di testi classici e alla letteratura popolare italiana.
In questi anni cura una edizione della Gerusalemme liberata nella forma intesa da Tasso e una edizione dei Sepolcri e delle Grazie di Foscolo. Nel 1892 pubblica una Antologia della lirica moderna italiana e l'anno seguente le Prose di Galileo Galilei.
Dal 1893 Carducci, spesso a Roma come Senatore, comincia a chiedergli di sostituirlo sulla sua cattedra bolognese:
a un certo momento dové farsi aiutare da Severino, che noi consideravamo un fratello maggiore, e da cui ascoltavamo commentare Dante con delizia, tanta era la soavità con la quale egli ci faceva gustare le bellezze del Paradiso.
Severino continuerà ad aiutare il Professore anche più avanti, pur con grave disagio, essendo contemporaneamente impegnato come docente di italiano all'Istituto superiore di Magistero femminile di Firenze. Carducci, d'altra parte,
sentiva che tutto ciò che di sé aveva potuto rendere trasmissibile, procedimenti e dottrina, intendimenti e voleri, era rivissuto, meglio che in qualsiasi altro, in Severino, ... di Severino meglio che di qualsiasi altro sapeva di potersi fidare: e a Severino aveva pensato di lasciare un giorno la cattedra. (Federzoni)
Nel 1900 Severino inaugura i suoi studi danteschi con la lettura del Paradiso, tenuta al circolo filologico di Bologna. Lo stesso anno pubblica I Sonetti, capitolo conclusivo e riassuntivo della sua attività poetica. Nel 1901 dà alle stampe Lectura Dantis.
Nel 1904 è costretto per un grave disturbo cerebrale a lasciare l'insegnamento e non può subentrare a Carducci, che l'ha da tempo designato sulla sua cattedra di eloquenza all'Alma Mater. L'anno seguente muore nel manicomio di Collegigliato, vicino a Pistoia.
È sepolto alla Certosa di Bologna, nel Campo Carducci. Nel cippo che lo commemora, il suo volto, opera dello scultore Carlo Parmeggiani, è significativamente rivolto alla tomba del maestro, che lo amava "assai assai" e che per la sua immatura morte "ha pianto con molte e cocenti lacrime".
Severino Ferrari
15 marzo 1856 - 24 dicembre 1905
sovra tutti diletto
con verità pianto
Ha scritto il Pancrazi:
Ogni volta che torna un'occasione a parlare di Severino Ferrari, per una data, una ristampa, un discorso, qualcosa dentro di noi si rallegra. Pochi poeti e scrittori, pur essendo, come lui fu, piccoli poeti e scrittori, ci sembrano tanto suggestivi. E' che ci piace l'uomo e il tempo. Ci fu un ventennio, quando il Carducci in Parnaso era re, che nominar Severino era come dire la poesia.
- Andrea Battistini, La cultura letteraria tra classicismo e avanguardia, in: ... E finalmente potremo dirci italiani. Bologna e le estinte Legazioni tra cultura e politica nazionale 1859-1911, a cura di Claudia Collina, Fiorenza Tarozzi, Bologna, Editrice Compositori - Istituto per i Beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna, 2011, pp. 195-196
- Dizionario dei bolognesi, a cura di Giancarlo Bernabei, Bologna, Santarini, 1989, vol. 1., p. 242
- Giosue Carducci e i carducciani nella Certosa di Bologna, Bologna, Comune, 2007, p. 21
- Pier Mario Fasanotti, Tra il Po, il monte e la marina. I romagnoli da Artusi a Fellini, Vicenza, Neri Pozza, 2017, p. 115
- Giuseppe Lipparini, L'innamorato di Bologna e altre pagine bolognesi, Bologna, Boni, 2001, pp. 118-119
- Gian Luigi Ruggio, Giovanni Pascoli. Tutto il racconto della vita tormentata di un grande poeta, Milano, Simonelli, 1998, p. 71
- Severino Ferrari e il sogno della poesia, a cura di Simonetta Santucci, Bologna, Pàtron, 2003
- Manara Valgimigli, Uomini e scrittori del mio tempo, Firenze, Sansoni, 1965, p. 16, 24, 283
- Marco Veglia, La vita vera. Carducci a Bologna, Bologna, Bononia University Press, 2007, pp. 80, 285-286
Internet:
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