Scrittori e scrittrici

Pontelungo - Prati di Caprara

via Emilia Ponente, 307

L'avventura anarchica divampa effimera nella quiete opulenta del paesaggio padano, poi sparisce nel nulla. Proprio come, secondo un'antica leggenda, era accaduto al Diavolo, apparso in quei luoghi tanto tempo prima ...

(T. Debenedetti)

Per attraversare con la via Emilia il fiume Reno gli antichi Romani costruirono un ponte di 18 arcate lungo circa 200 metri, che venne più volte danneggiato dalle piene del fiume e fu infine sostituito nel 1257 da un nuovo ponte a 21 arcate.

45 massi di macigno e di marmo, che appartenevano al ponte romano, furono ritrovati nel letto del fiume nel 1845. Tre di essi furono collocati nel Museo Civico, gli altri utilizzati per la pavimentazione della basilica di San Petronio.

Anche il manufatto medievale subì nel tempo notevoli danni e venne infine ricostruito, tra il 1878 e il 1880, su progetto dell'ing. Adriano Panighi dell'Ufficio Tecnico Provinciale. I quattro capi delle spallette furono ornati da belle sirene in marmo, scolpite da Carlo Monari.

Il rione del Pontelungo era abitato dai birocciai che trasportavano la ghiaia dal greto del Reno, mentre lungo la via Emilia c'erano le botteghe dei carradori, dei fabbri e dei sellai, oltre a trattorie e osterie.

Costa, Bakunin e soci

La notte fra il 7 e l'8 agosto 1874, gli anarchici internazionalisti tentarono una insurrezione a Bologna. Il piano prevedeva la concentrazione presso i Prati di Caprara, a poca distanza dal Pontelungo, di tre colonne di congiurati provenienti da paesi vicini, l'entrata in città all'alba, l'occupazione del palazzo comunale, l'assalto e il saccheggio dell'arsenale militare e la liberazione dal carcere dei prigionieri politici.

Le armi, raccolte in Romagna, furono date in custodia a un ex garibaldino impiegato nella cartiera di Pontecchio. In vari punti della città fu raccolto materiale per erigere barricate, un centinaio di uomini erano pronti all'azione. Ma la Prefettura, informata da spie infiltrate, sventò la rivoluzione sul nascere. Il leader anarchico Michail Bakunin, arrivato in incognito dalla Svizzera, fu costretto a fuggire precipitosamente.

L'episodio è narrato nel romanzo Il diavolo al Pontelungo di Riccardo Bacchelli, pubblicato per la prima volta nel 1927 e più volte rielaborato, fino all'edizione definitiva del 1957. Qui lo scrittore "fluviale", come lo definì Cardarelli, narra le vicende interpretate, ma storicamente fondate, del rivoluzionario russo e del suo discepolo Carlo Cafiero, convinti che Satana potesse davvero spiccare il volo "per la liberazione di tutto il mondo" dalle spallette bollenti del Pontelungo.

Un poco di campagna

Il Pontelungo era, quarant'anni fa, un grosso agglomerato di case, un pezzo di vita staccato dalla città, o attaccato solo per quegli archi del ponte. Una popolazione mista di figli di contadini, che si trasformano in operai, e scende ogni mattina in città ...

Giuseppe Raimondi ha lasciato una testimonianza del Pontelungo quando ancora era un borgo periferico autonomo. La sua ragion d'essere era data dalla presenza del ponte sul Reno e di una serie di attività professionali collegate al fiume: birocciai, renaioli, spalatori di ghiaia.

I traffici continui sulla via Emilia avevano selezionato una razza umana di trafficanti, viandanti, vagabondi, frequentatori di osterie "fresche di ombra, odorose di vino e cipolle" e un numero minore di barcaioli e pescatori del Reno.

Dai canneti in riva al fiume si alzava "il fumo e l'odore di pece e di catrame", che nei pressi del ponte si mescolava al profumo e al colore dei cocomeri tagliati a fette.

Tra il popolo dei birocciai dalle grandi membra, cotti dal sole come i mattoni della fornace, ai tempi di Andrea Costa sorsero i primi socialisti. Forse alcuni di essi videro il diavolo al Pontelungo e sperarono di sconvolgere il mondo coi pistoloni nascosti alla Cartiera del Maglio e con il verbo di Bakunin.

Chissà quante volte ci siamo dribblati

Ci si mescolava con la "ragazzaglia" dei garzoni dei fornai e dei macellai (la bicicletta, il cesto e il grembiule) nel tentativo di emulare Angiolino Schiavio ...

I Prati di Caprara, luogo di raduno degli anarchici nel 1874, erano una vasta periferia semideserta a nord di via Emilia Ponente, tra Porta San Felice e il rione di Borgo Panigale, cresciuto attorno al Pontelungo. Nell'Ottocento gli spazi aperti dei Prè ed Cavrèra, coperti solo di erba secca e polvere, avevano ospitato raduni militari, corse al galoppo e, all'inizio del nuovo secolo, i primi esperimenti di volo. Nel 1909 qui iniziò a giocare il Bologna Football Club, appena fondato alla Birreria Ronzani.

Il gioco del calcio divenne la grande passione dei giovani bolognesi durante il Ventennio. Il fascismo puntò molto sullo sport per forgiare una nuova generazione di uomini vigorosi e pronti alla guerra. Negli anni Trenta, nel nuovo avveniristico stadio del Littoriale voluto da Arpinati, il Bologna FC vinceva a ripetizione il campionato italiano e le coppe europee, mentre Ondina Valla portava in alto il nome della città, trionfando alle Olimpiadi di Berlino davanti a Hitler.

Ai Prati di Caprara andavano allora a giocare a pallone i figli del popolo:

si sceglieva una fetta di terreno non ancora occupata da altri ragazzi, poi si facevano le porte, che avevano per pali pietre, giacche, camicie, biciclette o gerle messe dai garzoni dei fornai. (Renzi)

Quindi si formavano le squadre, cercando di equilibrarle a occhio, magari chiamando qualcuno dai campi vicini.

Finito il gioco, ci si andava a lavare nella "canaletta": acqua limpida, fresca; un sogno oggi! (Pezzoli)

Tra coloro che raggiungevano in bicicletta i Prati di Caprara, per giocare a "futbal" pomeriggi interi, c'erano Pier Paolo Pasolini, Luciano Serra e Renzo Renzi, giovani liceali del "Galvani", impegnati - come si doveva - anche in altri sport: Pasolini correva i 1.500 metri, Serra faceva salto in lungo, Renzi giocava a pallavolo nel campo del Ravone.

Nel 1941 Pasolini e Serra vinsero con la squadra di Lettere il campionato interfacoltà. Il primo, che giocava all'ala destra, di quella squadra fu anche il capitano. Gli amici lo chiamavano Stukas, come il temibile cacciabombardiere tedesco, “per l'irruenza e la velocità con cui giocava” (Donati).

La passione per il calcio accompagnò il futuro regista e scrittore per tutta la vita. Anche molti anni dopo il lunedì pomeriggio era impossibile trovarlo altrove che sui campi polverosi del pallone.

Approfondimenti
  • Bologna nelle sue cartoline, a cura di Antonio Brighetti, Franco Monteverde, Cuneo, L'arciere, 1986, vol. 2: Vedute della città, p. 122 (foto: Pontelungo)
  • Alessandro Cervellati, Bakunin e soci, in: id., Bologna aneddotica, Bologna, Tamari, 1970, pp. 214-218
  • Carlo Donati, Strada Nove. La via Emilia e le sue curve, Ancona, Affinità elettive, 2020, vol. 1., pp. 287-288, 293
  • Andrea Paolella, Luciano Serra, I luoghi di Pasolini, Cinisello Balsamo, Silvana, 2010, pp. 11-12
  • Pasolini e Bologna, a cura di Davide Ferrari e Gianni Scalia, Bologna, Pendragon, 1998, p. 139
  • Orlando Pezzoli, Fuori porta prima del ponte. Santa Viola, Bologna, Comitato ricerca storica e sociale su Santa Viola, 1976, pp. 76-77
  • Giuseppe Raimondi, Notizie dall'Emilia, a cura di Clelia Martignoni, Milano, A. Mondadori, 1978, pp. 45-46
  • Renzo Renzi, La città sentimentale, Bologna, Edizioni della provincia di Bologna, 2005, pp. 41-48