Scrittori e scrittrici

Palazzo Bianconcini

via Belle Arti, 42

L'ingresso, piccolissimo, aveva pochi piccoli mobili e molti piccolissimi soprammobili, tutti giapponesi, e mi sembra che dall'alto pendesse una lanterna, pure di stile giapponese. Dall'ingresso si vedeva la prima camera dell'appartamento, forse la camera da pranzo, vasta, severa, un pò disadorna ...

(A. Boriani)

Nel 1897, di ritorno dalla sua permanenza a Modena, Alfredo Testoni andò ad abitare in un "magnifico" appartamento del palazzo di proprietà del Duca Piero Bianconcini, in via Belle Arti 42 e vi rimase fino al 1916, prima del definitivo trasferimento in via Gombruti (poi via Testoni).

Il periodo in cui abitò in via Belle Arti coincise con quello della sua affermazione come autore di commedie dialettali e non. Nel 1898 I pisuneint toccarono la centesima replica al teatro del Corso, mentre la compagnia di Galliani mise in scena Acqua e ciacher, una delle sue pièce più riuscite.

Il 1° dicembre 1899 Testoni recitò per la prima volta in pubblico I sonetti della Sgnera Cattareina, inaugurando una lunga stagione di esibizioni fuori Bologna. Nel 1902, con la commedia Quel non so che, si impose anche come autore in lingua italiana e il successo si rinnovò nel 1905, notevolmente ampliato, con Il cardinale Lambertini, il suo lavoro più amato.

Per raggiungere l'appartamento abitato dal commediografo al primo piano di Palazzo Bianconcini, occorreva oltrepassare il grande portone d'accesso, si svoltava a sinistra in un piccolo cortile e poi si percorreva a destra un lungo corridoio poco illuminato, dove si apriva il vano scale.

Dopo l'ingressino e l'austera sala da pranzo, la cucina mostrava un insolito fregio con galli e galline intervallate da paglia e uova, che Testoni aveva commissionato - preparando una minuziosa descrizione scritta - all'amico pittore Augusto Majani. Il fregio fu poi replicato identico nella sua residenza di campagna, la villa "la Lubbia" a Casalecchio di Reno.

Annessa all'appartamento vi era una "leggiadrissima terrazza" piena di luce e di fiori, dove Testoni e la moglie passavano qualche ora di festa assieme a Trulli, il loro gattino. Lo studio dello scrittore era piccolo piccolo. Per ragioni di spazio lo scrittoio era posto sotto la finestra. Alle pareti vi erano scaffali colmi di libri. Le foto di tanti attori e attrici con dedica - da Zacconi alla Duse, dalla Melato alla Bertini - erano "orgogliosamente conservate in bella vista".

Testoni era solito venire incontro all'ospite affabile e sorridente, come fosse alla ribalta al teatro Contavalli.

D'Annunzio e le lasagnette della signora Cesira

Tra i suoi ospiti a Palazzo Bonvicini vi fu a volte Gabriele D'Annunzio. Si erano conosciuti nel 1886 a Roma, nella redazione del giornale "Capitan Fracassa" al quale entrambi collaboravano. Secondo Augusto Majani, invece, l'amicizia era iniziata durante il servizio militare. Di fatto si frequentavano. Nel corso della famosa cena del Vate con Carducci al "Carlino" nel 1901, Testoni recitò alcuni sonetti della Sgnera Cattareina.

Una incauta soffiata sulla Francesca da Rimini portò i due scrittori sull'orlo di un duello, ma tutto si risolse tra abbracci e risate, grazie alla maldestra mediazione di Rinaldo Sperati, un redattore del "Carlino" quasi sordo.

Alfredo e Cesira andavano a trovare D'Annunzio a Firenze alla Capponcina, la villa, simile a uno strano convento, dove abitava con la Duse. Il Vate ricambiava facendosi ospitare dai coniugi Testoni nella casa di via Belle Arti, ogni qualvolta capitava a Bologna. "Elegante, profumato", vestito con alti colletti inamidati e "un cravattino che pareva una libellula", era sempre attorniato da un codazzo di curiosi, che lui chiamava, con le labbra tirate, "Catoncini stercorari".

Si rifugiava furioso in casa di Testoni, ma le lasagnette verdi con la crostina dorata della signora Cesira - in mezzo un bel condimento e un dito di parmigiano stravecchio - bastavano a rimetterlo di buonumore. Poi i commensali cominciavano a parlare e quando D'Annunzio prendeva a volare alto coi suoi discorsi, ci pensava Testoni a tirarlo giù con certe "schioppettatine", che lo facevano trasecolare. Ma ancora una volta tutto finiva in ridere.

Infine si giocava tutti a scopone, con una posta di dieci soldi, e Testoni, che era - a detta della moglie - uno "schiappino" e non sapeva perdere, ogni volta si arrabbiava, proprio come faceva Carducci. Nel 1929, in una lettera a Testoni spedita dal Vittoriale, D'Annunzio ricordò con nostalgia le tagliatelle della signora Cesira e le "antiche cene bolognesi", da lui definite "farmachi infallibili".

Approfondimenti
  • Alfredo Testoni. Sotto i portici e dietro le quinte, a cura di Davide Amadei e Vittoria Coen, Bologna, Minerva, 2003, pp. 17-20, 152, 207
  • Luca Baccolini, I luoghi e i racconti più strani di Bologna. Alla scoperta della "dotta" lungo un viaggio nei suoi luoghi simbolo, Roma, Newton Compton, 2019, pp. 84-86
  • Angiolino Boriani, Il mio primo incontro con Alfredo Testoni, in: "Strenna della Fameja bulgneisa", 1956, pp. 26-30
  • Angiolino Boriani, Ricordi testoniani. Una visita alla "Lubbia", in: "Strenna della Fameja bulgneisa", 1957, pp. 37-45
  • Luigi Bortolotti, Bologna dentro le mura. Nella storia e nell'arte, Bologna, La grafica emiliana, 1977, p. 174
  • Alessandro Cervellati, Bologna al microscopio, Bologna, Edizioni aldine, vol. 4., Curiosità delle cronache, 1957, pp. 153-155
  • Italo Cinti, Testoni e D'Annunzio, in: "Strenna della Fameja bulgneisa", 1959, pp. 113-117
  • Franco Cristofori, Alfredo Testoni. La vita, le opere, la città, Bologna, Alfa, 1981, pp. 140-143, 160-162
  • Palazzi bolognesi. Dimore storiche dal Medioevo all'Ottocento, introduzione di Eugenio Riccomini, Zola Predosa, L'inchiostroblu, 2000, p. 147