Benché fosse in via Mazzini e nell'austero palazzo del chirurgo Rizzoli era una specie di soffitta sotto il tetto, all'ultimo piano. Io - scusate se parlo di me - nacqui allora nel quartiere accanto; le due famiglie si scambiavan le visite, e nei miei ricordi d'infanzia rivedo spesso "il Professore" che scende la scala ripida e diruta con un mucchio di libri sotto l'ascella. Colà Lauretta cantava e Bice lavorava al telaio:
"Lauretta empiva intanto di gioia canora la stanza,
Bice china al telaio seguia cheta l'opera de l'ago".
(G. Lipparini)
Una decorosa dimora
Il palazzo "dall'aspetto nobile e severo" al numero 37 di Strada Maggiore, da poco ribattezzata via Mazzini, ospitò dal 1876 al 1890 Giosuè Carducci, all'epoca delle Rime nuove e delle Odi barbare.
Le figlie che diventavano grandi e richiedevano più spazio e il ricordo amaro della scomparsa della madre e del figlio allontanarono il poeta dalla "casa del melograno" di via Broccaindosso.
Un altissimo portico del Settecento, realizzato dall'architetto Andrea Chiesa, rendeva uniforme la sobria facciata della nuova residenza, che anticamente era il palazzo con torre della famiglia guelfa Baciomari o Basciacomari, ora di proprietà del famoso chirurgo Francesco Rizzoli.
Si saliva una lunga scala poco illuminata fino all'ultimo piano. L'appartamento era ampio e luminoso, capace di contenere la sua vasta biblioteca in continua crescita, con quattro salette affacciate sulla via principale e numerose stanze per la famiglia e la servitù.
Non mancava un'ampia soffitta, che serviva da ripostiglio e stenditoio per il bucato, oltre che come stanza dei giochi della nipotina Elvira. Una dimora decorosa per il professore quarantenne e ormai famoso.
All'epoca del trasloco Carducci era a Fermo per ispezioni (Valgimigli insinuò maliziosamente che forse ci andò proprio per evitarlo) e scrisse una scherzosa lettera alla moglie Elvira:
Anch'io spero di riposarmi tra non molto in quel gran lettone che mi si dice apparecchiato nella camera, e di tirare il campanello per far venire ora questa ora quella delle molte mie persone di servizio, e di mirarmi nello specchio; ma nello specchio mi vorrei mirare anche da letto ... E sono molto curioso della sorpresa che mi attende. Avreste messo su per i servizi di casa un elefante?
Il Mulino
Qui, i muri austeri dicono bene quel carattere di sobrietà accademica (un pò fuori dal tempo) e insieme di impegno che traspare dalle copertine colorate, dove predomina il verde pisello.
(P. Di Stefano)
Nel secondo Novecento Palazzo Rizzoli ospitò la redazione della rivista "Il Mulino", promossa nel 1951 da un gruppo di studenti universitari cattolici e laici liberali, ex allievi del liceo "Galvani", tra i quali Nicola Matteucci, Luigi Pedrazzi, Gianluigi Degli Esposti, Antonio Santucci, Federico Mancini, Fabio Luca Cavazza, Pier Luigi Contessi e inizialmente sostenuta dal punto di vista finanziario da Giorgio Barbieri, presidente della Confindustria bolognese e della Poligrafici "Il Resto del Carlino".
Il nome fu ispirato al Mulino del Po di Riccardo Bacchelli, ma volle anche significare la volontà di "macinare" buona cultura. Tra le figure carismatiche vi furono il critico e storico della letteratura Ezio Raimondi, presidente del consiglio editoriale dal 1967 al 2006 e Giovanni Evangelisti, storico direttore editoriale, approdato al "Mulino" da Firenze negli anni Sessanta.
La rivista fu all'origine di successivi, notevoli sviluppi dal punto di vista economico, culturale, politico: nel 1954 nacque Società editrice, che dai pochi libri iniziali arrivò a pubblicare negli anni successivi più di 150 volumi all'anno e una ventina di riviste. Nel 1964 i promotori fondarono l'Associazione di cultura e di politica "il Mulino", per coordinare e controllare le varie iniziative.
Le numerose attività di ricerca, soprattutto sulle istituzioni e sul sistema politico italiano, confluirono dal 1965 nell'Istituto di studi e ricerche Carlo Cattaneo. Nel 1986 esso fu riconosciuto come Fondazione ed eretto in ente morale.
Tra i collaboratori del "Mulino" vi fu anche il poeta Adriano Spatola, che si trasferì nel 1957 a Bologna dall'Istria per frequentare l'Università, dove fu allievo di Luciano Anceschi, redattore del "Verri" e fondatore della rivista letteraria d'avanguardia "Bab llu" (1962).
- Albo carducciano. Iconografia della vita e delle opere di Giosue Carducci, Bologna, Zanichelli, 1980, p. 72
- Franco Bergonzoni, Le case di Carducci, in: Carducci e Bologna, a cura di Gina Fasoli, Mario Saccenti, Bologna, Cassa di Risparmio, 1985, pp. 51-52
- Umberto Beseghi, Palazzi di Bologna, 2. ed., Bologna, Tamari, 1957, pp. 307-308
- Paolo Di Stefano, Potresti anche dirmi grazie. Gli scrittori raccontati dagli editori, Milano, Rizzoli, 2010
- Giuseppe Lipparini, L'innamorato di Bologna e altre pagine bolognesi, Bologna, Boni, 2001, p. 103
- Manara Valgimigli, Uomini e scrittori del mio tempo, Firenze, Sansoni, 1965, pp. 52-53