Sembra che trattino la questione di salvarmi dandomi un alloggio nel sottoscala del Mattino come correttore di bozze. Ma la mia salute è troppo cattiva.
(D. Campana)
In un palazzo di via dei Mille 18, scomparso nel secondo dopoguerra e sostituito da un grande magazzino, c'era, nei primi anni del ‘900, la sede del "Giornale del Mattino", quotidiano democratico fondato da Alfredo Grassi, Enrico Golinelli - già sindaco di Bologna e Venerabile della loggia VIII Agosto - Aldo Oviglio e Genuzio Bentini.
Espressione della massoneria locale, ma finanziato anche dalla Federterra, iniziò le pubblicazioni nel dicembre del 1910, con l'intenzione di coprire lo spazio lasciato libero dal "Resto del Carlino", passato al campo clerico-moderato, dopo l'acquisto da parte degli agrari e degli industriali zuccherieri.
In un primo tempo appoggiò l'ascesa dei socialisti alla guida del Comune, ma in seguito diventò un fiero avversario del PSI, sostenendo posizioni decisamente interventiste.
Il primo direttore Gino Piva fu sostituito nel 1913 dal cervese Rino Alessi, ex maestro elementare e collaboratore dell' "Avanti!", che allo scoppio del conflitto mondiale partì volontario, fu corrispondente di guerra per il Comando Supremo e dal dopoguerra, per tutto il Ventennio, diresse il "Piccolo" di Trieste.
Nel 1917 fu sostituito alla guida del "Mattino" da Pietro Nenni, pubblicista repubblicano, già volontario in guerra, per parecchi mesi al fronte e ferito gravemente. Arruolatosi nuovamente dopo la rotta di Caporetto, riprese la direzione del giornale nel 1919, negli ultimi mesi della sua pubblicazione. Prima di aderire, nel 1921, al Partito Socialista - e diventare uno dei leader storici dell'antifascismo - fu anche tra i fondatori del primo fascio bolognese, in seguito ricostruito e dominato da Leandro Arpinati.
Bino Binazzi redattore al "Mattino"
Il poeta Bino Binazzi giunse a Bologna nel 1914. Trascorse l'anno precedente a Firenze nella redazione del "Fieramosca", dove fece la sua prima esperienza come giornalista. Nel capoluogo toscano visse a stretto contatto con gli intellettuali di "Lacerba": Soffici, Papini, Palazzeschi, Tavolato. Si fece notare come conversatore assiduo al caffè delle Giubbe rosse, senza aderire pienamente all'avanguardia futurista.
Al "misero stipendio di 200 lire" cominciò a lavorare, prima come correttore di bozze, poi nella redazione del "Giornale del Mattino". L'impegno nel giornalismo fu per lui, strambo e bizzarro poeta, una condanna per tutta la vita: non lo considerò, infatti, niente più che "bassa cucina", un mezzo di sostentamento, un impegno necessario. Le collaborazioni al giornale affrontavano gli argomenti più vari: dalla letteratura alle arti figurative. Erano spesso suoi gli articoli non firmati di cronaca bellica: intensi e appassionati, volevano essere il contributo di un riformato alla causa italiana.
Prima di andare al lavoro, Binazzi frequentava il Caffè di San Pietro o il Caffè dell'Arena, dove si intratteneva con artisti e letterati, quali Giuseppe Raimondi, Riccardo Bacchelli, Mario Pozzati, Filippo De Pisis. A volte capitavano Alfredo Oriani, Giorgio Morandi, Umberto Saba. Raimondi ha ricordato "quelle notti, in cui per gli artisti e i poeti, come usava a quel tempo, le interminabili passeggiate e i vagabondaggi sembrava che dovessero essere fonte di ispirazione e di idee nuove".
Anche Antonino Foschini, che condivise l' "illusorio risveglio di cultura, di spirito d'arte" a Bologna in quel periodo, ha testimoniato delle lunghe passeggiate sotto i portici in compagnia di Binazzi, precettore in casa Pepoli, "lungo la via Santo Stefano, fino alla casa isolata della contrada del Piombo dove Carducci si ebbe l'eroico furore della sua arte di rime e ritmi". Si leggevano il Lemonio Boreo di Soffici, Guerrapittura di Carrà, le poesie di Papini: "Leggevamo e sapevamo leggere".
Dotato di singolare cultura umanistica, "uomo colto, illuminato e poeta", Binazzi fu un punto di riferimento molto importante per i giovani artisti bolognesi, "neofiti un poco provinciali", ai quali raccomandava una solida base classica prima di tentare l'avventura dell'avanguardia, la "troppo facile palestra del futurismo". All'entusiasmo per Apollineire e Rimbaud opponeva citazioni da Marsilio Ficino. Dal San Pietro, spesso Raimondi lo accompagnava al lavoro:
Via dei Mille. Là dentro, in uno sgabuzzino di legno, faceva il correttore di bozze. Su di un ripiano, e fra la confusione delle bozze, affiorava un Petrarca. E là dentro, una volta, fece la sua apparizione Dino Campana.
Campana cerca Binazzi
Binazzi fu il primo a scrivere positivamente di Campana, il 25 dicembre 1914, con un intervento sul "Giornale del mattino". Nell'articolo, intitolato Un poeta romagnolo (Dino Campana), salutò il marradese come "poeta di razza", come fenomeno singolare e nuovo. Lo descrisse come un tipo scontroso e solitario, propenso a vivere da poeta, a "preferire l'avventura eccezionale e la vita sciolta e vagabonda di tutte le anime sublimi".
Per il giornalista i Canti Orfici erano un prodotto del Futurismo: senza "l'allegro incendio futurista" non sarebbero mai venuti alla luce. E spiegava il motivo con un attacco ad alzo zero contro l'accademismo carducciano: "si seguitava a confondere letteratura e poesia, poeta e professore, e si anelava all'aula disdegnando il magnifico vento dei quadrivi".
Binazzi divenne il motivo degli occasionali ritorni a Bologna di Campana dal 1914, "nelle tempestose soste dai consueti viaggi" e dopo il definitivo abbandono degli studi di chimica all'Università, nella primavera del 1913. Oltre che a vendere personalmente nei caffé bolognesi copie dei suoi Canti Orfici, Campana cercava con insistenza la sua compagnia, gli chiedeva favori. Ancora Raimondi:
Lo rividi, una notte, nello stanzino di correttore di bozze di Binazzi al Giornale del Mattino: era l'inverno. Binazzi intabarrato, il cappello calato in capo, la sigaretta in bocca, quasi a scaldarsi a quel poco di fuoco. Campana, in un abituccio frusto, senza cappotto, silenzioso, nel frastuono delle linotipe della vicina tipografia. Si parlò di avvenimenti della giornata: era il tempo di guerra.
I rapporti intellettuali tra Campana e Binazzi, il "solo amico egli ebbe negli anni prima del cancello, prima del muretto d'ospedale", continuarono positivamente nei mesi successivi. Raffaello Franchi ha reso testimonianza dell'influenza dell'opera di Campana sulla impostazione della rivista "La Brigata", fondata nel 1916 a Bologna da Binazzi e Meriano:
Binazzi dice di voler fondare una rivista in cui la poesia sia intesa in senso orfico. I Canti di Campana stanno agglutinando e fortificando la nostra atmosfera.
Sulla rivista Campana fu proclamato "il più grande poeta di questa generazione italiana". Ma intanto il funambolico poeta vagabondo cominciò a sparlare dell'amico giornalista. Lo accusò di non darsi da fare abbastanza per fargli avere un ricovero in ospedale e di essere in combutta con l'odiato Papini e con "i cari sciacalli del cupolone fiorentino". Rifiutò la sua ammirazione: "E' vero che dice che sono il primo poeta d'Italia me io preferisco essere l'ultimo poeta della Papuasia che avere tali colleghi".
I rapporti tra i due andarono avanti tra alti e bassi fino - ed anche oltre - al definitivo internamento di Campana nel manicomio fiorentino di Castel Pulci. Dopo un vano tentativo degli amici bolognesi di sistemarlo "nel sottoscala del Mattino", nell'ottobre 1917 Campana, "triste a morte", si congedò da Binazzi con "un lungo bacio per tutto il bene che non ci siamo voluti".
Ancora nel 1930 il "medium magnetico", in un momento di lucidità, fu in grado di smentire le esagerazioni giornalistiche dell'amico, contenute nell'introduzione all'edizione Vallecchi 1928 dei suoi Canti Orfici.
Chino Alessi, Rino Alessi, Pordenone, Studio Tesi, 1993
Marco A. Bazzocchi, Campana, Nietzsche e la puttana sacra, San Cesario di Lecce, P. Manni, 2003, pp. 75-76
Greta Bilancioni, Dino Campana e Bino Binazzi a Bologna, in: "Il carrobbio", 28 (2002), pp. 251-259
La brigata (1916-1919), a cura di Gino Tellini, rist. anast., Parma, Università, Bologna, Regione Emilia-Romagna, 1983
Mario Pozzati. 1888-1947, Bologna, Nuova Alfa, 1987, p. 27, 33
Carlo Pariani, Vita non romanzata di Dino Campana, Firenze, Ponte alle Grazie, 1994, p. 149
I portici della poesia: Dino Campana a Bologna (1912-1914), a cura di Marco Antonio Bazzocchi e Gabriel Cacho Millet, Bologna, Pàtron, 2002
Gianni Turchetta, Dino Campana. Biografia di un poeta, Milano, Feltrinelli, 2003, p. 227