La serata trascorreva allegra, con gente di varia estrazione e con qualche tipo interessante. Come l'avvocato Bottarino, così soprannominato per via del bere: dicevano che si facesse cinque fiaschi per sera e quattordici bicchierini la mattina per rifarsi lo stomaco.
(B. Anzolin)
Visitare bottiglierie e caffè era la religione del Carducci; in tal senso era devoto, soprattutto, alla fiaschetteria toscana di Sabatino Pesciatini, un empolese "di buona pasta, gioviale e allegro", che egli chiamava "Chiucchiolino", perchè canterellando rifaceva il verso del chiù. Il poeta frequentava questo locale con alcuni suoi amici e discepoli.
Una sera del 1882 Giovanni Pascoli vi lesse "stupendamente" la saffica di Carducci Ad Alessandria, a suo dire una delle odi più belle del Maestro, facendo "gustar tante cose" ai compagni che prima non avevano capito. Qui avvenne, alla presenza di Olindo Guerrini, un memorabile incontro tra Carducci e Edmondo De Amicis.
Di questa mescita, in cui "si gustava del buon vino e qualche piatto povero della cucina toscana", ha lasciato un ricordo preciso Alfredo Panzini, che da studente ne era un frequentatore:
Era un budello lungo e stretto, diviso in due parti: quello verso la strada conteneva la solita piramide di fiaschi, due tavolinetti di marmo, il bancone di marmo con su una gran scansia di fiaschi.
L'oste Sabatino stava in negozio "in camicia di flanella, testa nera e nuda, baffoni da carabiniere, voce baritonale con cui rimbrottava la moglie e un irrequieto suo fanciullo dalla bocca aperta". Quasi ogni sera la porta di strada si apriva tra le 9 e le 10 ed entrava il Professore con cinque o sei amici.
E allora Sabatino apriva la vetrata d'uno stanzino buio che era dietro di lui, ma così umile, così povero ... accendeva una lampada a gas che sventagliava la sua fiamma; portava fiasco e bicchieri, assicurando con la mano sul petto che quello gli era vino da galantuomo.
All'osteria Carducci non accettava discussioni ponderose su arte e letteratura, né polemiche o scherni contro i suoi avversari. Dopo una bevuta e un pò di chiacchere, ognuno pagava quello che consumava, poi la compagnia rincasava. Gli amici passavano accanto alle due torri e si avviavano lentamente sotto i portici fino alla casa del poeta, situata allora in Strada Maggiore, a Palazzo Rizzoli, poco prima "dell'armonioso chiostro della chiesa dei Servi".
Carducci smise di frequentare la fiaschetteria quando fu colpito da "un lieve tremito delle dita della piccola mano bianca". Da allora fu assiduo al caffè dei Servi, più vicino a casa, bevendo birra piuttosto che vino.
Bruno Anzolin, Vino e poesia, Udine, Campanotto, 1994, p. 73
Mario Biagini, Giosuè Carducci, Milano, Mursia, 1976, p. 339
Claudia Culiersi, Paolo Culiersi, Carducci bolognese, Bologna, Patron, 2006, p. 116
Giovanni Federzoni, Raccoglimenti e ricordi, ed. definitiva, Bologna, Zanichelli, 1935, p. 58
Lorenzo Gigli, Edmondo De Amicis, Torino, Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1978, p. 264
Alessandro Molinari Pradelli, Bologna tra storia e osterie. Viaggio nelle tradizioni enogastronomiche petroniane, Bologna, Pendragon, 2001, p. 46
Alfredo Panzini, Per amore di Biancofiore. Ricordi di poeti e di poesia, a cura di M. Valgimigli, Firenze, Le Monnier, 1948, p. 271
Maria Pascoli, Lungo la vita di Giovanni Pascoli, memorie curate e integrate da Augusto Vicinelli, Milano, A. Mondadori, 1961, p. 139
Manara Valgimigli, Uomini e scrittori del mio tempo, Firenze, Sansoni, 1965, pp. 57-58
Marco Veglia, La vita vera. Carducci a Bologna, Bologna, Bononia University Press, 2007, p. 262