Casa - Via dell'Osservanza

via dell'Osservanza, 4
L'abitazione non era molto distante dall'inizio della salita del Colle dell'Osservanza. Era situata al secondo piano (di dietro, a causa della pendenza stradale, c'era un piano in più, il terzo). A sinistra dell'ingresso, si aprivano due studioli, uno dei quali serviva per la poesia e l'altro era destinato a ricevere gli studenti, che sarebbero stati sempre molto numerosi. Su un corridoio piccolo che conduceva su una terrazza, si affacciavano le altre stanze.

(G.L. Ruggio)

Nascosta nel cortile di un palazzo al n. 4 di via dell'Osservanza c'è una lapide, offerta nell'anno XI E.F. dal Fascio di Combattimento di Bologna, che ricorda l'ultima dimora in città di Giovanni Pascoli, "nel latino nuovo e antico poeta e profeta dell'Italia giovane".

Essa era "una casina come ce n'è tante, piccola e pulita, con un breve giardino a ridosso del monte". L'impressione che comunicava era di grande solitudine e lontananza. Sembrava che il poeta si fosse ritirato, allontanato dalla comunità degli uomini, dal brulicare della vita cittadina. Nell'abitazione "francescana" c'erano solo

camere piccole e pulite; niente di singolare, niente di lusso, niente che ricordasse il grand'uomo, il professore, il dotto; soltanto dei libri, e poi mobili e cose comuni, famigliari, roba di campagna.

La sua stanza, avvolta dal silenzio, non dava sulla via, ma su un piccolo giardino affacciato sulle colline. C'erano tavoli "ingombri di libri, postillati a matita, carte dappertutto", che portavano le tracce dei suoi lavori più recenti.

In procinto di trasferirsi a Bologna, Pascoli aveva incaricato Ida Ghini, moglie dell'amico Severino Ferrari, di sovrintendere al trasloco dei mobili, raccomandandosi di mettere vicine la sua camera e quella della sorella Maria: "Siamo soli - scrisse - e un pò nervosi. Non vogliamo perderci di udita".

Da tempo residente a Castelvecchio di Barga, in provincia di Lucca, "il poeta dei campi e di semplici cose" tornò a Bologna nel 1906 per sostituire Carducci sulla cattedra di Letteratura italiana all'Università. Delle sue titubanze sono testimonianza le lettere agli amici: "Non so più nemmeno come e perché. Vengo sospinto dal destino".

Visse comunque questo prestigioso incarico come un risarcimento per i tanti torti subiti nella sua vita, a partire dall'assassinio impunito del padre. Insegnò all'Alma Mater senza grande fortuna, con lunghe assenze dovute al suo precario stato di salute. Passò gli ultimi inverni bolognesi per lo più ritirato, assieme alla sorella. Ai pochi che andavano a trovarlo riservava "un sorriso di affettuosa bontà, un modesto desinare e un bicchiere di ottimo vino toscano".

Nei pressi della casa ai piedi dei colli vedeva passare, come recita una sua poesia, i preti diretti a San Michele in Bosco:

Per il viale, neri lunghi stormi,
facendo tutto a man a man più fosco,
passano: preti, nella nebbia informi,
che vanno in riga a San Michele in Bosco.
Vanno. Tra loro parlano di morte.
Cadono sopra loro foglie morte.
Sono con loro morte foglie sole.
Vanno a guardare l'agonia del sole.

Nella casa dell'Osservanza tornò infine il 18 febbraio 1912, per trascorrervi gli ultimi giorni di vita, assistito dal prof. Murri, luminare della medicina, e confortato dagli amici.

Il convoglio arrivò a Bologna intorno alle diciotto. Erano alla stazione, a salutarlo, le Autorità e una folla di studenti. In fretta, fu accompagnato nella sua casa all'Osservanza, ma fu sistemato non nella sua stanza, che affacciava nell'interno ed era grigia e triste, bensì in quella di Maria, molto più ariosa, soleggiata, che dava sul giardino, con la vista di San Michele in Bosco.

Il poeta morì il 6 aprile successivo, dopo alcune ore d'agonia.

Le lacrime di De Pisis

Secondo una testimonianza di Olga Signorelli, sua amica e collezionista negli anni romani, alla lettura dei versi di Pascoli, Filippo De Pisis si commuoveva fino alle lacrime.
Amava il poeta romagnolo fin dalla prima gioventù. Egli ebbe una grande influenza sulla sua formazione di letterato e pittore.

Con Pascoli il marchesino Tibertelli entrò in corrispondenza nel 1914, quando era ancora adolescente e alla sua "sacra memoria" dedicò nel 1916 i Canti della Croara. Nel 1920 si laureò all'Università di Bologna con una tesi su di lui (imitato, alcuni anni dopo, da Pier Paolo Pasolini).

Frequentò la casa di Pascoli, in via dell'Osservanza, e fu tra i pochi corrispondenti della sorella Mariù dopo la sua morte. Nel 1916 le inviò una lettera contenente una poesia dedicata al fratello.

L'interesse per la poesia di Pascoli continuò, senza interruzioni, per tutta la vita di De Pisis. Durante il soggiorno a Parigi egli fu chiamato da Prezzolini, promotore della cultura italiana all'estero, a tenere una conferenza e delle letture su di lui. Attraverso l'ex compagno ed amico Italo Balbo, De Pisis si premurò di informare Mussolini in persona di questo evento.

Piero Jahier e la famiglia "spezzata in due

In una stanza ammobiliata in Via dell'Osservanza, "che fu già abitata da Giovanni Pascoli", lo scrittore Piero Jahier visse i primi quattro anni di esilio bolognese, separato dalla famiglia, con l'incubo di un possibile licenziamento per motivi politici. I fascisti fiorentini giurarono di farlo fuori, dopo che il 2 novembre 1924 aveva deposto una grande corona d'alloro con nastro rosso in una cappella del cimitero delle Porte Sante, a ricordo dell'assassinio di Giacomo Matteotti. E lui dovette fuggire, vivere al confino, in una condizione di prigionia spirituale.

L'unica cosa bella è la vista che gode dalla sua finestra su San Michele in Bosco: una verde e armoniosa oasi di pace contro il cielo turchino. Rientrando a casa qualche volta ha la compagnia delle note di un organetto di strada che suona una melodia e gli riempie il cuore di maggior tristezza: sente i suoi stessi passi diventare pesanti, i piedi non vorrebbero salire la scala mentre è solleticato da un grande desiderio di sedersi per terra e non alzarsi più. (R. Forni)

L'ispettore ferroviario Jahier visse a Bologna in silenzio, di fatto non potè più scrivere e pubblicare. Il suo incubo continuo fu far bastare i soldi senza "venire meno all'onestà", guadagnare abbastanza per sfamare i figli e farli studiare. Fu così per vent'anni.

Approfondimenti
  • Umberto Beseghi, Castelli e ville bolognesi, Bologna, Tamari, 1957, p. 216, 249
  • Umberto Beseghi, Palazzi di Bologna, 2. ed., Bologna, Tamari, 1957, p. 280 (foto), 282-283
  • De Pisis. Opere su carta 1913-1953, Milano, Electa, 1985, p. 14
  • Rachele Ferrario, Les italiens. Sette artisti alla conquista di Parigi, Torino, UTET, Milano, DeA, 2017
  • Romeo Forni, L'uomo dai capelli di lana bianca (con Piero Jahier), Milano, Todariana, 1972, p. 50
  • Angelo Manaresi, L'estremo viaggio di Giovanni Pascoli (nel centenario della sua nascita), in: "Strenna della Fameja bulgneisa", 1956, pp. 66-68
  • Pascoli. Vita e letteratura. Documenti, testimonianze, immagini, a cura di Marco Veglia, Lanciano, Carabba, 2012, p. 390
  • Gian Luigi Ruggio, Giovanni Pascoli. Tutto il racconto della vita tormentata di un grande poeta, Milano, Simonelli, 1998, pp. 257-258, 326
  • Severino Ferrari e il sogno della poesia, mostra documentaria, Biblioteca comunale S. Ferrari, 28 febbraio-28 marzo 1999, a cura di Simonetta Santucci e Carlotta Sgubbi, Molinella, BIME Tipo-Litografia, 1999, p. 32
  • Le strade di Bologna. Una guida alfabetica alla storia, ai segreti, all'arte, al folclore (ecc.), a cura di Fabio e Filippo Raffaelli e Athos Vianelli, Roma, Newton periodici, 1988-1989, vol. 3., p. 608
  • Fiorenza Weinapple, Le foglie levi di Sibylla. L'opera e la scrittura di Maria Pascoli, Milano, Jaca book, 2007, p. 134