Casa - Via Cavaliera

via Oberdan, 20

Anche per desiderio di lui, nel settembre 1904, volli andare direttamente a rivedere Severino. Abitava allora a Bologna in via Cavaliera. Ne ebbi impressione di pauroso sgomento. Già mi aveva accennato, la signora Ida, con gesti silenziosi, come lo avrei trovato. Era in una grande stanza, con finestre e persiane chiuse, quasi al buio. Me lo vidi venire incontro come da lontano, con un passo strascicato e incerto ...

(M. Valgimigli)

La casa di via Cavaliera ospitò Severino Ferrari nell'ultima parte della sua vita, quella dominata dalla malattia che lo portò alla morte e gli impedì di raggiungere il traguardo al quale era destinato: la cattedra di Letteratura italiana dell'Università di Bologna, occupata per oltre quaranta anni dal suo maestro e amico Carducci.

Severino era affetto da "paralisi progressiva o nevrosi paralitica di origine luetica, manifestazione tardiva di una sifilide contratta in giovane età" (Capecchi). A quei tempi non c'erano gli antibiotici e la sifilide non si poteva curare. Nel periodo terziario essa raggiunge il sistema nervoso centrale e compaiono patologie psichiatriche. E' quello che accadde al poeta: nel suo caso la malattia proseguì inesorabilmente fino alle estreme conseguenze.

Ormai da tempo il "fidanzato della poesia" dava segni di squilibrio. Si era accorto lui stesso che qualcosa non andava. Se ne erano ormai resi conto i parenti, gli amici e i conoscenti. Le prime manifestazioni erano apparse molti anni prima del fatidico 1905. Nel 1883 era stato costretto a letto per quasi tutto l'anno scolastico. In una lettera confessava:

"Sono un poco impensierito perché non vedo e non sento: il medico dice: mali nervosi; bagni freddi; aria nativa; poco studio, poco lavoro...da vero che non sto bene; alla notte mi sogno il sole, massime quando ho bevuto molto. I miei nervi tremano come una cetra".

Vi furono gravi problemi agli occhi, con cecità temporanea, e la paralisi gli impedì di scrivere, compito che fu assunto dalla amata moglie Ida. Aumentarono i problemi di perdita della memoria, calo di attenzione e concentrazione, sintomi inequivocabili di alienazione progressiva. "Temo che mi si sia rotta una molla nel cervello", confessava. Parlava di "congegni rotti".

Nel luglio 1903 avvenne l'ultimo fugace incontro con Giovanni Pascoli, durante una sosta in stazione. All'amico di sempre apparve "emaciato, tristissimo".

Alcuni anni dopo Giulio De Frenzi (Luigi Federzoni) ricordò le parole strane, senza senso da lui pronunciate, un giorno, nella bottega di Zanichelli, parole che avevano scosso gli amici e lo stesso Carducci, al quale fu così rivelata la sciagura ormai imminente dell'amato discepolo. E il Maestro non volle partecipare al pranzo domenicale organizzato in onore di Severino in via Cavaliera, il 15 gennaio 1905.

Tre giorni dopo il poeta fu ricoverato nella casa di cura privata di Collegigliato, vicino a Pistoia. Per mesi si alternarono fasi acute della malattia a periodi più tranquilli, che fecero anche pensare a un possibile miglioramento. In certi momenti il paziente credeva di essere in albergo, si sentiva sanissimo:

"ed anzi ripete che gli si è ora sviluppata l'intelligenza in un modo straordinario: stamani narrava d'avere nella notte pensato tutto un romanzo e che in un giorno con uno scrivano lo avrebbe messo in pronto per la stampa".

Invece il 24 dicembre 1905 il dottor Nino Sbertoli ne annunciò la morte, con un telegramma inviato al fratello: "Professore attaccato stanotte violentissime ripetute convulsioni nonostante ogni cura soccombeva".

Pascoli seppe la notizia dall'allieva e amica di Severino Stella Cillario, che comunicò il "dolore ineffabile" della sua scomparsa, mentre l'anziano maestro Carducci rimase sconvolto, con una "grande ferita nel cuore".

La salma fu trasportata il 27 dicembre alla stazione di Bologna "e da qui un funerale solenne, con carro di prima classe e banda municipale", mosse verso la Certosa. Sulla sua tomba fu posta questa epigrafe:

A Severino Ferrari / poeta di gentile arte / e umanissimo cuore /
vivido ingegno e pieno delle nostre lettere / le quali giovò scrittore e maestro / gli ultimi anni a Bologna / a lato del Carducci che lo dilesse.


Approfondimenti

Giovanni Capecchi, Il crepuscolo folle. Severino Ferrari a Collegigliato, in: "La rassegna della letteratura italiana", 2-3 (1997), pp. 140-155


Giovanni Capecchi, Severino Ferrari morì alle Ville Sbertoli il 24 dicembre 1905. Il crepuscolo del folle a Collegigliato, in: "Il Tirreno", 12 marzo, 1998


Pascoli. Vita e letteratura. Documenti, testimonianze, immagini, a cura di Marco Veglia, Lanciano, Carabba, 2012, p. 325


Manara Valgimigli, Uomini e scrittori del mio tempo, Firenze, G. C. Sansoni, 1965, p. 273