La strada, lunga lunga, diritta, di dieci in dieci metri diventa sempre più sporca: fiancheggiata da prima di case, poi di casine, poi di casipole, poi di catapecchie mette capo a una chiesina, bianca e rossa e liscia come una giovane lavandaia, sormontata da un orologio in ferro che indica l'ora di pranzo, quando c'è pranzo, a parecchie centinaia di famigliole operaie e di pezzenti ...
(A. Rubbiani)
Dopo aver vinto una borsa di studio per l'iscrizione alla Facoltà di Lettere dell'Università di Bologna, nel novembre del 1873 Giovanni Pascoli cominciò a cercare una sistemazione in città, assieme al fratello Giacomo, il "piccolo padre". Riuscì in breve ad "allogarsi a retta presso una famigliola di onesti popolani in fondo al Borgo di San Pietro, che abitava l'ultima casetta a destra di chi guardi il Santuario della Madonna".
Secondo la testimonianza dell'amico Brilli, un compagno di studi conosciuto da poco, che forse lo aiutò a trovar casa, Giovanni occupò una cameretta "modestissima", con il letto a destra dell'entrata, "di contro un canterale, nel mezzo un tavolo con tre o quattro sedie: pochi libri; un baule in un angolo".
Il suo padrone di casa era un sbianchizen, un imbianchino, fuori tutto il giorno per lavoro assieme ai figli "giovanotti", la moglie era una massaia cordiale.
Il Borgo, una lunga strada dritta fiancheggiata da portichetti irregolari, che da Palazzo Bentivoglio va a un santuario mariano addossato alle mura, irriconoscibile oggi, dopo che i bombardamenti della seconda guerra mondiale lo hanno praticamente raso al suolo, era abitato da popolani autentici, che parlavano il dialetto più schietto. Quasi tutte le famiglie ospitavano un "dozzinante", un impiegato o uno studente della vicina università, che permetteva loro di accrescere un poco redditi altrimenti molto magri.
Sotto i portici ai piedi delle madri, sedute sulla porta in camicia e grembiale, i bambini, mezzo nudi, imbavacchiati formicolano a gruppi; piangendo, ridendo, strillando, avvoltolandosi tra i gusci di cocomero ... Gli uomini sono lì scamiciati, scalzi, appoggiati alle colonne, seduti fuori da quei portonacci dove là dentro si fila la corda, si graffia la canapa, si fabbricano i solfanelli da un centesimo la scatola, gli spilli da un soldo il cento, o si rimpastano in letame gli stracci, le ossa, i rimasugli di cucina o di toletta ...
Alfonso Rubbiani raccontò in estrema sintesi ciò che avvenne nel rione nell'autunno del 1848, dopo la cacciata degli Austriaci da Bologna e il successivo trionfo della "santa canaglia":
Peccato! I facchini vittoriosi bevvero troppo dippoi. Nel settembre, mese cupo sanguinoso di assassinii e di vendette, fu mestieri infine disarmarli. Una notte Borgo San Pietro dai gendarmi quieti quieti veniva chiuso agli sbocchi, si bussò a un'ora stessa a cento porte; colti così in camicia, a letto, tra i figlioletti e le mogli impaurite, i fieri popolani riconsegnarono i fucili alla Patria ritornando il dì appresso facchini in piazza col numero di ottone sul braccio.
Pascoli rimase in questo popolare rione e nella casa dell'imbianchino per circa due anni. Nel 1875, non essendosi presentato agli esami, perse il sussidio e dovette lasciarla, trovando una precaria sistemazione in una stanzetta vicino alla chiesa della Maddalena.
- Una città italiana. Immagini dell'Ottocento bolognese, a cura di Franco Cristofori, Bologna, Alfa, 1965, pp. 35-36
- Pascoli. Vita e letteratura. Documenti, testimonianze, immagini, a cura di Marco Veglia, Lanciano, Carabba, 2012, pp. 84-85, 92
- Alfonso Rubbiani, Popolani a Borgo San Pietro, in: Bologna. Parole e immagini attraverso i secoli, a cura di Valeria Roncuzzi e Mauro Roversi Monaco, Argelato, Minerva, 2010, pp. 138-144
- Alfonso Rubbiani, I popolani a Borgo San Pietro, in: Bologna nell'Ottocento, a cura di Giancarlo Roversi, Roma, Editalia, 1992, pp. 147-151
- Le strade di Bologna. Una guida alfabetica alla storia, ai segreti, all'arte, al folclore (ecc.), a cura di Fabio e Filippo Raffaelli e Athos Vianelli, Roma, Newton periodici, 1988-1989, vol. 1., pp. 118-120