Marinetti viene aggredito da un passatista; ne segue un indicibile parapiglia tra i paladini dell'uno e dell'altro ... La strage fu grande nel campo dei bicchieri, delle tazze, dei piatti e delle sedie: un danno di un centinaio di lire cui deve aggiungersi il danno passatistico dell'essersi molti avventori eclissati senza pagare.
Un covo futurista
Il Caffè di San Pietro fu per breve tempo il quartier generale bolognese dei futuristi. Il 19 gennaio 1914 la giornata fu memorabile: Marinetti tenne una conferenza all'Università, attaccando la cultura umanistica e scatenando un parapiglia.
Al teatro del Corso i futuristi tentarono di mettere in scena una delle loro sintesi, che venne subito interrotta dal pubblico con una pioggia di ortaggi.
L'epilogo fu al San Pietro ...
In attesa della rivoluzione
Era questo uno dei caffè più antichi di Bologna. Risaliva infatti al XVII secolo. Si trovava all'inizio di via Indipendenza, nel palazzo dei "Monti nuovi", poi Ottani Grandi, all'angolo con via Altabella.
In origine si chiamava “di Geminiano” ed era un modesto esercizio, con un piccolo portico sopraelevato sul piano della strada.
Fin dal 1794 in questo locale si seguivano con ansia e con grandi discussioni gli avvenimenti di Francia. Nel periodo giacobino, accanto ad esso, era stato innalzato un albero della libertà. In seguito divenne un luogo di convegno dei liberali bolognesi e romagnoli, punto di ritrovo per i partecipanti ai moti politici.
Qui, nella notte tra il 3 e il 4 febbraio del 1831, i congiurati attesero da Modena le notizie della rivoluzione. Il caffè si riempì "di gioventù armata di fucile o pistola o sciabole", che all'alba si recò al Palazzo apostolico e intimò la partenza del cardinal Benvenuti. Nel 1848 al San Pietro fu esposto per tre giorni consecutivi il tricolore.
In seguito il locale decadde: nelle sue sale vuote e silenziose stazionavano solo pochi e vecchi commercianti. Al mattino era frequentato dalla servitù e la sera da qualche modesto giocatore di tresette.
Con il restauro dello stabile, nel secondo '800, il portico fu portato a livello della strada e il piccolo negozio divenne una delle istituzioni caratteristiche di Bologna.
Fu dotato "di ampi locali ben organizzati e ben serviti" e divenne ben presto "il centro cui affluivano continuamente, dall'alba alla notte, le correnti di tutta la vita bolognese". Ai suoi tavoli, che d'estate occupavano anche il portico e la strada davanti, sedeva gente di ogni tipo, proveniente, oltre che dalla città, dalla provincia e dai maggiori centri emiliani.
I divani erano quelli di sbiadito rosso umbertino. Affondati nella tenera ombra, che le lampade, nei bianchi globi di vetro, non disturbavano. Il marmo bianco dei tavoli, dove, d'estate, ci si rinfrescava, posando il palmo aperto della mano. (G. Raimondi)
Alla sera "il fior fiore della clientela più elegante" amava sostarvi fino a tardi. All'uscita dei teatri, soprattutto durante la stagione dell'Arena del Sole, "le signore del bel mondo cittadino", le "formose bolognesi", si fermavano a chiacchierare e a prendere un gelato prima di rincasare con i loro mariti.
Come molti altri caffè bolognesi, il San Pietro non chiudeva mai. I nottambuli se ne andavano alle prime luci dell'alba, poi c'era appena il tempo per le pulizie, prima che cominciasse ad affluire, col nuovo giorno, la clientela di campagna.
Alla fine dell'800 il conduttore Cleto Burzi ottenne dal proprietario del palazzo l'autorizzazione a montare tendoni in luce tra le arcate del portico in via Indipendenza e in via Altabella, una “splendida insegna” con la scritta Antico caffè di San Pietro con Bigliardo e sette fanali conformi a quelli della pubblica illuminazione.
Nel 1908 Giovanni Masotti decorò il caffè in stile floreale, coi simboli degli elementi (acqua, terra e fuoco).
In seguito fu restaurato da Ferruccio Scandellari e divenne famoso per le sue "colazioni alla forchetta", i lunghi divani rossi, le pareti "piene di ceffi e di puttini", un pomposo specchio e "le scelte melodie di un abile concerto".
Bastavano pochi centimetri di velluto rosso ...
All'inizio del '900 il Caffè di San Pietro diventò ritrovo di artisti e di letterati bolognesi o di passaggio in città: lo frequentava Alfredo Oriani con i suoi numerosi "scolari" e anche Dino Campana, Bino Binazzi, il pittore Mario Pozzati, il marchesino poeta Luigi Filippo Tibertelli (De Pisis). Secondo Ferruccio Giacomelli bastavano "pochi centimetri di velluto rosso e un bicchiere d'assenzio" per star bene al San Pietro.
Oriani scendeva dal treno a Castel San Pietro con la bicicletta in spalla e da qui, pedalando per gli altri venti chilometri, arrivava al San Pietro, sudato, stimolando così l'invidia di altrettanti patiti di questo sport d'avanguardia. (Forni)
Campana compariva ogni tanto, reduce da una delle sue tante peregrinazioni. Non era ancora conosciuto per le cose uscite in "Lacerba" o sulla "Voce". Cercava con insistenza Binazzi. Ricorda l'amico Ravagli:
Un giorno capitai con lui - chi sa come, chi sa perché - nella prima sala del caffè di San Pietro, ritrovo allora quasi elegante. Egli non si sedette: si sdraiò addirittura nel divano rosso che girava tutt'intorno alle pareti, e mise in mostra le scarpe logore e le gambe nude: con grave scandalo dei clienti più timorati e con visibile dispetto dei camerieri più arcigni. Nessuno, naturalemente, osò dirgli parola.
A volte il poeta vagabondo provava a vendere qualche copia dei Canti Orfici, che riempivano le tasche del suo logoro soprabito. Così le acquistarono Raimondi e Morandi. Prima di consegnarle, strappava una o più pagine a seconda di chi era il destinatario, oppure aggiungeva una dedica, correggeva qua e là il testo: poteva essere questo un attestato di stima o di disprezzo.
Un giorno capitò Marinetti, il quale, incuriosito dallo strano soggetto, all'apparenza un "eccentrico mercante con magri affari", gli comprò il libro.
A quel punto, incassati i quattrini, Dino si mise a strappar pagine una dopo l'altra finché non rimase che la copertina che venne consegnata all'attonito Marinetti.
In un'altra occasione Campana si dimostrò molto generoso. Aveva fatto la traduzione dal tedesco di un difficile brano di Nietzsche per un professore universitario e questi lo aveva ricompensato con cinquanta lire. Invece di mettere i soldi da parte, il poeta invitò gli amici al Caffè San Pietro e offrì loro da bere e da mangiare a volontà. Il resto, che era ancora una bella sommetta, lo lasciò come mancia a un cameriere.
L'attore comico Ettore Petrolini, amico e committente di Mario Pozzati, che tra il 1912 e il 1914 aveva disegnato per lui una serie di manifesti pubblicitari, fu visto un giorno al Caffé, "rasato di fresco", sfogliare e tagliare le pagine di una copia della Gaia Scienza di Nietzsche, mentre Campana, di fronte a lui, commentava l'operazione con voce "in sordina e soffocata" e gli astanti lo ascoltavano "come si ascolta un motivo di vecchia musica popolare".
Binazzi arrivava tardi. Come Pozzati, di solito si alzava all'ora dell'aperitivo serale. Sembrava un "monaco umanista laurenziano". Si metteva a parlare e parlare: raccontava le sue esperienze di precettore in giro per l'Italia o la sua amicizia con l'abate Le Cardonnel, amico di Rimbaud e Verlaine, conosciuto ad Assisi. Altre volte, invece, quello che tutti consideravano il fratello di Campana taceva preoccupato e distratto, con volto impassibile, "come modellato in una creta divenuta cera".
In quegli anni capitava il poeta triestino Umberto Saba con l'amico Aldo Fortuna. In bolletta cronica, i due si scambiavano debiti e prestiti fatti per l'acquisto di una bottiglia di vino, di una pasta o per "una partita a domino, di scopa o di bazzica andata a male". Fortuna chiedeva invano a Saba di lasciare il locale e di rifugiarsi semmai "in qualche cantuccio di chiesa, dove poter pensare e parlare con la stessa comodità e con minore spesa".
Per Giuseppe Raimondi e Giorgio Morandi il Caffé di San Pietro era la meta di quotidiane passeggiate sotto i portici del centro. Vi sostavano un poco prima di cena e più a lungo di sera. Lo consideravano quasi una seconda casa. Morandi era allora un pittore ignoto, "scarso e difficile produttore". Entrando nel caffé si faceva attento, "girava gli occhi intorno a controllare i presenti", poi si sedeva su un divano d'angolo o ad un tavolo appartato, restando piuttosto taciturno.
L'amico Riccardo Bacchelli leggeva alcuni capitoli del romanzo al quale stava lavorando, "scritto a matita nera su fogli di carta gialla da macellaio, quella usata per incartare il venduto". Chiedeva pareri agli astanti.
Al San Pietro capitava raramente anche De Pisis, allora solo scrittore e poeta, che di solito preferiva il più discreto Caffè della Barchetta in via Farini:
entrava guardandosi intorno, quasi intimidito. Le occhiate dei camerieri, tutti vecchi arnesi del mondo pettegolo bolognese, lo mettevano in imbarazzo. Forse anche i clienti: giornalisti, politicanti, uomini d'affari, avvocati e altra gente dalle occhiate dure, presuntuose. (G. Raimondi)
Il circolo delle arti
Durante la grande guerra l'antico caffè prese l'aria "di una sala d'aspetto di stazione ferroviaria". La gente andava e veniva senza fermarsi, "col biglietto di partenza già pronto in tasca". C'era un tale clima di incertezza, che nessuno aveva più voglia di discutere e conversare. Poi venne il dopoguerra e si tornò, ma solo in parte, "nella normalità e nella noia". A volte alla sera, davanti al San Pietro, gruppi di squadristi armati prendevano d'assalto un camion rombante, scavalcando "le alte sponde di legno". Andavano a compiere spedizioni punitive contro le case del popolo e le leghe socialiste nei paesi della provincia.
Leo Longanesi, appena sedicenne, era allora una specie di mascotte, nel caffè pieno di "ragazzi, intellettuali, fascistoni". Morandi era ancora il personaggio più carismatico, quello a cui anche lui dava più ascolto: "Morandi aveva un piglio: era lui che rompeva, o toglieva il saluto".
All'appuntamento fisso del sabato pomeriggio partecipava la maggioranza degli artisti bolognesi e non. Non c'erano regolamenti, ma gli ipocriti e gli amorali non erano ammessi. Al gruppo di Bacchelli e Longanesi si affiancava quello di Mario e Severo Pozzati, con Garzia Fioresi e Ferruccio Giacomelli.
I rapporti fra i pittori di diverse tendenze si risolvevano, per evitare scontri nefasti, a mezzo di corrispondenze epistolari che un cameriere si incaricava di recapitare agli opposti tavoli. (Forni)
Negli anni Trenta il locale, chiamato anche il Circolo delle Arti, venne rinnovato dall'architetto Melchiorre Bega e diventò "il più elegante ritrovo bolognese". Ospitò giovani artisti e critici quali Nino Bertocchi, Corrado Corazza, Lea Colliva, Alessandro Cervellati e gli architetti razionalisti Enrico De Angeli e Giuseppe Vaccaro.
All'inizio del decennio successivo capitava saltuariamente anche il giovane Pier Paolo Pasolini, che nella sala cinematografica situata nel palazzo di fronte assisteva alle proiezioni organizzate dal G.U.F.
Ma ormai Il San Pietro, protagonista della Belle Epoque bolognese, si avviava ad una inarrestabile decadenza e nel 1944 venne chiuso.
- Mario Bejor, Dino Campana a Bologna 1911-1916, a cura di Antonio Castronuovo, Roma, Elliot, 2018, pp. 23-24, 49-50
- Bologna anni 1930-40. Materiali d'opere e di memorie da leggere e da vedere, Bologna, Tipostampa Bolognese, 1983, pp. 20-21
- Bologna Caput Mundi. I grandi e la città da Dante ai giorni nostri, testi di Fabio Morellato, foto di Paolo Zaniboni, Gianni Castellani, ricerca storica e bibliografica di Isabella Stancari, Bologna, L'inchiostroblu, 2011, pp. 211-212
- Bologna nelle sue cartoline, a cura di Antonio Brighetti, Franco Monteverde, Cuneo, L'arciere, 1986, vol. 2: Vedute della città, p. 53 (foto)
- Maria Letizia Bramante Tinarelli, I caffè, in: F.I.L.D.I.S., Cenacoli a Bologna, Bologna, L. Parma, 1988, pp.135-139
- Alessandro Cervellati, Bologna futurista, Bologna, a cura dell'Autore, 1973, p. 55
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- L'Emilia Romagna com'era. Alberghi, caffè, locande, osterie, ristoranti, trattorie. Sulle tracce di un passato recente alla riscoperta dei segni mutati o cambiati di una secolare tradizione d'ospitalità, a cura di Alessandro Molinari Pradelli, Roma, Newton Compton, 1987, p. 46
- Luigi Federzoni, Bologna carducciana, Bologna, L. Cappelli, 1961, pp. 230-231
- Dante Forni, Romeo Forni, Sepo. Settant'anni con l'arte, Bologna, Pendragon, 2008, pp. 13-14
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- Alessandro Molinari Pradelli, Bologna tra storia e osterie. Viaggio nelle tradizioni enogastronomiche petroniane, Bologna, Pendragon, 2001, pp. 63-64
- Alessandro Molinari Pradelli, Osterie e locande di Bologna. La grassa e la dotta in gloria della tavola: folclore, arte, musica e poesia nelle tradizioni contadine e gastronomiche della città felsinea, Roma, Newton Compton, 1980, p. 109
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- Quanto hai lavorato per me, caro Fortuna! Lettere e amicizia fra Umberto Saba e Aldo Fortuna (1912-1944), a cura di Riccardo Cepach, Trieste, MGS press, Comune, Assessorato alla cultura, Servizio bibliotecario urbano, 2007, p. 29
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- Federico Ravagli, Dino Campana e i goliardi del suo tempo, 1911-1914. Autografi e documenti, confessioni e memorie, Bologna, CLUEB, 2002, p. 59
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- Athos Vianelli, Bologna in controluce. Storie e curiosità fra un secolo e l'altro, Bologna, Inchiostri, 2001, pp. 43-44