Caffè del Corso

via Santo Stefano, 33

Quando verso la mezzanotte si avvicinava l'ora della chiusura del Caffè di San Pietro, Oriani si trasferiva, scortato dagli intimi, al Caffè del Corso, ove lo aspettava un più ristretto e aristocratico gruppo di amici: il marchese Montanari Bianchini, colto gentiluomo al quale era molto affezionato; il conte Giorgio Massei, trionfatore di tutti i concorsi ippici; il conte Aria, benemerito per le antichità etrusche di Misa, presso la sua villa di Marzabotto, il buon Antonio Cervi ...

(L. Federzoni)

 

Il Caffè del Corso nacque all'inizio dell'Ottocento come bettola frequentata dagli spettatori del vicino teatro. Giacomo Leopardi, a pensione nel 1825-26 nel palazzo accanto, vi consumava quasi ogni giorno una colazione di cioccolata e biscotti. Serviva anche il vicino carcere di San Giovanni in Monte e fino al 1889, anno dell'abolizione della pena di morte, preparava l'ultimo pasto dei condannati al patibolo.

Gli avventori più fedeli furono, in principio, i patiti del bigliardo, tanto che il primo caffettiere, un certo Gaetano Muratori, dovette fare un esposto contro i giocatori accaniti, che intralciavano il suo lavoro. I tavoli del bigliardo rimasero comunque in una delle sale interne, che fu sede di un noto club.

Il locale venne ampliato e abbellito nel 1855 dal conduttore Francesco Malavolta e diventò un caffè di prim'ordine, "pomposo e aristocratico", con cinque stanze per il ricevimento e la bottega, "luogo di geniale ritrovo per la migliore società di Bologna".

Nella grande sala a specchi stazionavano i nottambuli, ai quali si aggregavano, dopo lo spettacolo serale, gli artisti drammatici che recitavano al Teatro del Corso o al Brunetti. Non mancava, soprattutto nelle ore notturne, la buona cucina, indispensabile in ogni caffè bolognese. Il Caffè era famoso per le lasagnette verdi, i tortellini pasticciati e il fritto di vitello, fegato e cervella.

Tra gli assidui frequentatori vi era Enrico Panzacchi, professore e poeta, "biasanot" smemorato e "meraviglia di oratore": "dal suo labbro pendevano tutti, allorquando narrava, ridendo, piccanti avventure o discuteva seriamente d'arte".

Lui e Alfredo Oriani si trattenevano spesso fino all'alba a discutere di politica o di teatro, oppure a sfidarsi in versi, come testimoniato da Luigi Federzoni (alias Giulio De Frenzi):

Chi non ricorda le vertiginose gare di epigrammi e di paradossi fra Panzacchi e Oriani, inesauribilmente prolungate sin verso l'alba, al Caffè del Corso, in mezzo a un vasto coro di contubernali di ogni età? Si usciva ai primi chiarori del giorno ...

Nel 1888, all'epoca dell'Esposizione Emiliana, e ancora nel 1894, il Caffè fu restaurato a spese del proprietario Augusto Zaniboni, con la collaborazione di Alberto e Angelo Bertolotti, famosi decoratori di carri mascherati. Le varie sale furono dipinte in stile barocchino, con "molti intrecci di magnifico effetto" e il nuovo salone rosso, con il soffitto ornato di fiori e frutta, acquisì "un'apparenza festosa".

Dopo il tramonto della Belle Epoque, il Caffè del Corso seguì la sorte di altri storici ritrovi: venne chiuso, nel 1925, "nella più completa indifferenza".


Approfondimenti

Marina Calore, Il teatro del Corso 1805-1944. 150 anni di vita teatrale bolognese tra aneddoti e documenti, Bologna, Lo scarabeo, 1992, p. 37


Oreste Cenacchi (Chiunque), Vecchia Bologna. Echi e memorie, con prefazione di Giulio De Frenzi, Bologna, Zanichelli, 1926, p. XI


L'Emilia Romagna com'era. Alberghi, caffè, locande, osterie, ristoranti, trattorie. Sulle tracce di un passato recente alla riscoperta dei segni mutati o cambiati di una secolare tradizione d'ospitalità, a cura di Alessandro Molinari Pradelli, Roma, Newton Compton, 1987, p. 46


Luigi Federzoni, Bologna carducciana, Bologna, L. Cappelli, 1961, p. 230-232


Marco Poli, La Bologna dei caffè, Bologna, Costa, 2005, p. 13