Adolfo Albertazzi
“Incominciai a scrivere quando mi persuasi che era molto facile scrivere un romanzo più bello del ‘Marco Visconti’, e lo intitolai ‘I Fumanti’, da un episodio di storia bolognese. Avevo dieci anni e mi presi un solenne scapaccione”.
Adolfo Albertazzi nasce nel 1865. È discepolo di Carducci, al quale sarà sempre legato da profonda amicizia. Insegna a Mantova, Foggia e infine a Bologna, all’Istituto tecnico Pier Crescenzi.
Si mette presto in evidenza come scrittore. Collabora con molti dei più noti e diffusi giornali italiani. Nel 1896 Ugo Brilli lo considera “destinato a un avvenire”; per Papini è “uno dei pochi prodigi della vivente letteratura italiana”, mentre il Russo lo giudica “narratore ricco di ingegno e di cultura e di nobilissime intenzioni, ma povero di temperamento”.
Tra i suoi romanzi si annoverano: La contessa d’Almond (1894), L’Ave (1896), Ora e sempre (1899). In genere essi “non si potrebbero fissare ad alcun genere letterario, perché sono tutti insieme e storia ed arte ed erudizione”. In faccia al destino (1906) è pubblicato dapprima come romanzo d’appendice sul “Resto del Carlino” col titolo Sorellina. Scrive inoltre saggi critici su Tasso, Foscolo e Carducci.
Secondo Alberto Asor Rosa egli
“non ha profondità di pensiero nè mezzi stilistici tali da permettergli l’impianto di un romanzo. La sua vena esile ha possibilità di efficace espressione solo nelle composizioni di taglio breve, nelle quali anche la sua sapienza stilistica ha modo di manifestarsi appieno”.
D’altronde il romanzo non gode di grande considerazione nell’ambiente letterario bolognese dominato dal classicismo carducciano. Il Maestro lo considera un genere effimero, come le camelie “dopo finiti i balli”. Anche Albertazzi presto se ne allontana.
Scrive alcune raccolte di novelle popolari ambientate nella sua terra, per le quali ha come modello Guy de Maupassant: Vecchie storie d’amore (1895), Novelle umoristiche (1900), Il zucchetto rosso e storie d’altri colori (1908), Amore e amore (1914), Il diavolo nell’ampolla (1918), Facce allegre e Top (1921). Qui egli
“canta con finezza e discrezione le cose semplici, la grazia femminile, la vivacità infantile, la bellezza del paesaggio, come faceva il Pascoli nella poesia, ma attenuandone i patemi decadentisti”.
Scrive anche alcuni libri per l’infanzia, tra i quali Asini e compagnia (1913), Cammina, cammina, cammina (1920), I racconti di Cuorcontento (1922). Cura una edizione popolare illustrata delle Opere di Carducci e di altri autori quali Tommaseo, Oriani, Tassoni.
Sul suo maestro pubblica anche un volume di ricordi, Il Carducci in professione d’uomo (1921), “di valore soprattutto affettivo”. In gioventù fu infatti assiduo della sua residenza di via del Piombo,
“essendo stato da lui prescelto, fra tutti gli studenti, come correttore delle bozze di stampa, per la sua scrupolosa diligenza e la sua sicura fedeltà all’ortografia e alla punteggiatura carducciane”.
Invia articoli a molti giornali e riviste, tra i quali “Il Fanfulla della Domenica”, “Varietas”, “La Romagna”, “Il Giornale d’Italia”, “L’Idea Nazionale”, “La Gazzetta del Popolo”. Assidua è la sua collaborazione al “Resto del Carlino”.
Luigi Federzoni ha riassunto con efficacia la sua personalità:
Voi non sapreste concepire Adolfo Albertazzi non bolognese. Bolognesi erano quella bonarietà acuta e saggia di giudizi etici, quella equilibrata compiacenza delle gioie spirituali e materiali, quel predominio del buon senso su tutte le sorprese dell’entusiasmo, quell’arguzia pacifica e assai ottimistica che commentava i peccati senza voler ammazzare i peccatori. Bolognese era quell’abbondanza di dottrina e di senno, la quale non vietava di gradire, al momento opportuno, i pregi di un ghiotto pranzo o la piacevole compagnia di una bella donna. E il letterato, come bolognese e perché bolognese, era essenzialmente umorista ...
Albertazzi muore a Castel San Pietro nel 1924. L’elogio più sincero e affettuoso gli viene tributato dai suoi allievi, che faranno stampare un manifesto con questa epigrafe:
Scrittore fra i più illustri dell’Italia contemporanea, non disdegnò l’ufficio di insegnante delle scuole medie; ma anzi lo tenne con coscienza e amore e cortesia di modi indimenticabili. Maestro di tante cose belle e buone, oggi che l’insofferenza del proprio stato fa reputare somma virtù il tramutare il posto e l’acquistare nuovi titoli e gradi, Egli ci lascia questo prezioso insegnamento, che si può essere grandi senza bisogno di salire.
- Adolfo Albertazzi, Il Carducci in professione d’uomo. Ricordi e aneddoti, a cura di Stefano Scioli, Lanciano, Carabba, 2008
- Andrea Battistini, La cultura letteraria tra classicismo e avanguardia, in: ... E finalmente potremo dirci italiani. Bologna e le estinte Legazioni tra cultura e politica nazionale 1859-1911, a cura di Claudia Collina, Fiorenza Tarozzi, Bologna, Editrice Compositori - Istituto per i Beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna, 2011, pp. 192-193
- Dizionario dei bolognesi, a cura di Giancarlo Bernabei, Bologna, Santarini, 1989-1990, vol. 1., pp. 32-33
- Luigi Federzoni, Bologna carducciana, Bologna, L. Cappelli, 1961, pp. 79-83
- Giosue Carducci e i carducciani nella Certosa di Bologna, Bologna, Comune, 2007, p. 11
- Orlando Pezzoli, Fuori porta prima del ponte. Santa Viola, Bologna, Comitato ricerca storica e sociale su Santa Viola, 1976, p. 18 (nota)
- Le strade di Bologna. Una guida alfabetica alla storia, ai segreti, all’arte, al folclore (ecc.), a cura di Fabio e Filippo Raffaelli e Athos Vianelli, Roma, Newton periodici, 1988-1989, vol. 1., p.10
- Athos Vianelli, Profili di bolognesi illustri, Bologna, Tamari, 1967, p.126
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