Leo Longanesi
Tutto ciò che non so
l'ho imparato a scuola
(L. Longanesi)
Scrittore, giornalista, editore, disegnatore, umorista, tipografo e grafico di gran gusto, personaggio irriverente e geniale, Leo Longanesi è stato una figura molto interessante e influente della cultura italiana durante il fascismo e nel secondo dopoguerra.
Del fascismo fu entusiasta sostenitore, una delle sue penne più agguerrite, ma fu anche indipendente e poco propenso a compromessi, tanto da pagare le sue posizioni "scorrette", e talvolta frondiste, con dimissioni ed esclusioni.
Fustigò implacabile il mondo borghese, il modernismo, l'esterofilia, rappresentando, assieme all'amico Mino Maccari, il mondo "selvatico" di Strapaese, le antiche buone tradizioni popolari dell'Italia contadina, quelle delle sue radici romagnole.
A Bologna
I Longanesi, una famiglia abbastanza agiata di agricoltori, si trasferiscono a Bologna da Lugo nel 1911, quando il figlio Leo ha sei anni. La madre vuole garantirgli una vita meno provinciale, più stimolante e ricca dal punto di vista culturale.
Dopo le medie, il ragazzo è iscritto al R. Liceo "Galvani", ma frequenta senza entusiasmo. Ha tra i professori un filosofo nazionalista. Comincia a sfilare tra i "Sempre Pronti" dalla camicia azzurra e la madre lo becca un giorno in corteo in via Indipendenza col coltello tra i denti. "Furiosa lo trascina via dalla masnada e se lo riporta a casa, come un pennuto riottoso".
A quindici anni si iscrive al fascio di combattimento. Con tanti altri studenti è parte dell' "esercito sentimentale" del fascismo. Conosce Ettore Muti, Arconovaldo Bonaccorsi, ma soprattutto ammira Leandro Arpinati, squadrista e federale bolognese, romagnolo di Civitella proveniente dalle fila dell'anarchia, implacabile e violento, ma anche amante della cultura:
È il nostro capo - sentenzierà più avanti - e dopo Mussolini noi obbediamo a lui ... egli è solo colui che, di noi fascisti emiliani e romagnoli, ha meritato per coraggio e qualità politiche di essere il nostro capo.
Con il ras partecipa alle turbolente manifestazioni fasciste dell'autunno 1920, compreso l'eccidio di Palazzo d'Accursio, del 21 novembre.
Secondo la testimonianza di Mino Maccari, è fra i giovani che ammainano la bandiera rossa dalla Torre degli Asinelli e mascherano la provocazione assassina come "rimedio alla follia bolscevica". Si mescola dunque ai cosiddetti benpensanti che inneggiano all'ordine difeso e garantito dal manganello e aprono la strada al fascismo.
Genietto precoce, "tirannello" viziato in famiglia, gira per Bologna con aria da viveur, vestito Old England di tutto punto, e comincia ad amare i libri sopra ogni altra cosa. La passione per la lettura e per l'arte lo porta a trascorrere giornate intere in Archiginnasio o in Pinacoteca. Legge Borgese, le Laudi e Kipling, poi Nietzsche, Sorel, Maupassant, Goncarov, Checov.
La notte, però, va in giro con gli amici per i luoghi di malaffare, le case di tolleranza - la più lussuosa è in via dell'Orso - e fa vita di caffè. Bologna gli appare "una città ricca", in cui la notte è "un nuovo giorno, popolato di tiratardi", è il regno di una razza di peccatori impegnati a discutere, a giocare con le idee.
È considerato una specie di mascotte al Caffè di San Pietro, dove frequenta, tra gli altri, Morandi e Bacchelli e tiene testa, o canzona alle spalle, professori come Galvano Dalla Volpe, Gustavo del Vecchio, Massimo Fovel.
Il 24 marzo 1921 fonda con Giorgio Leone e Piero Girotti "E' permesso?", mensile dal tono goliardico e con impostazione tra futurismo e fascismo, uno zibaldone dei giovani, di cui escono tre numeri. La sede è presso la sua abitazione, in via Irnerio.
Il 1° marzo 1923 esce la rivista quindicinale "Il Toro", per i tipi della Casa editrice Imperium, con sede sociale sempre in via Irnerio, diretta assieme a Corrado Testa e Nino Fiorentini. La sua impronta è nell'eleganza grafica, nell'amore per il passato, negli aforismi. Partecipa intanto alle iniziative del gruppo futurista bolognese, guidato da Guglielmo Sansoni, in arte Tato.
Nel 1924 dirige, con sovvenzioni del fascio locale, la rivista "Dominio", mensile monarchico e nazionalista, al quale collabora anche Riccardo Bacchelli. Queste prime prove goliardiche mostrano testi ingenui, ma una sorprendente maturità nei disegni, in stile futurista e caricaturale.
Nei suoi scritti entra la Bologna amara degli articoli pubblicati da Alfredo Oriani sul "Resto del Carlino", "così accesi di rampogna tra storia e profezia":
Sua mamma l'aveva messo al mondo in tempo sicuro per salvarlo dalle suggestioni del michelangiolismo e del Liberty. Quando buona parte dei ragazzi italiani che prendevano la penna in mano pitigrilleggiavano, Longanesi aveva probabilmente letto gli elzeviri di Alfredo Oriani ritagliati da suo padre nel "Carlino".
Accanto a una entusiastica adesione al fascismo rivoluzionario, con netta pregiudiziale anti-borghese, Longanesi comincia, già dalle sue prime prove, a rivelare uno spirito che Papini definirà "acuto, malizioso, maligno", tra "i più corrosivi di questo paese".
Nel 1926 fonda l' "Italiano", "rivista settimanale della gente fascista". Il periodico diventa, assieme al "Selvaggio" di Maccari, una delle roccaforti della corrente anti-modernista del fascismo, ponendosi a difesa della genuinità paesana, minacciata dalla civiltà moderna e dalla cultura esterofila delle avanguardie.
Ideologo della nuova rivista di Longanesi è Camillo Pellizzi, che dal 1929 sarà corrispondente da Londra del "Corriere della Sera". Per il primo numero, apparso il 14 gennaio, Leo chiede la collaborazione di Giovanni Papini, da lui considerato una sorta di padre spirituale.
Nel secondo numero è reso omaggio a Maccari, definito "il primo artista della caricatura" dell'era fascista. Per Longanesi personaggi dell'artista toscano "si gonfiano come vesciche di porco sotto il suo lapis deciso a non transigere".
Con il n. 3 la redazione dell' "Italiano" si trasferisce in via Rizzoli n. 20, di fronte al cinema Modernissimo. Verso la fine dell'anno Giuseppe Raimondi e Vincenzo Cardarelli vi iniziano a scrivere regolarmente, chiamando a partecipare altri ex rondisti, quali Riccardo Bacchelli e Giuseppe Ungaretti.
Leo ha voluto conoscere Raimondi perchè colpito dall'accurato aspetto tipografico del suo libro Galileo, Ovvero dell'aria, appena pubblicato a Milano. E' nota la sua passione per la tipografia, che lo induce a studiare il manuale di Giambattista Bodoni. Lo scrittore-fumista ha ricordato i primi tempi della loro frequentazione:
Credo d'averlo conosciuto, per caso, al caffè, o non so dove, nella primavera del '26. Il giorno dopo, mi capitò in bottega. Piombava dentro in ufficio: io avevo da fare. Si metteva in un angolo di tavolo, e prendeva a scarabocchiare qualcosa. Prendeva appunti, su ogni pezzo di carta, che trovava in giro ... parlava, un'ora di continuo. A predifiato. In principio non mi ci raccapezzavo. Così durò per due anni. Le sue idee: subito ridotte a progetto concreto, di un articolo, di una cosa da scrivere, correvano più delle parole.
Nel 1927 inizia la sua attività editoriale. L'Italiano Editore pubblica opere di Bacchelli, Curzio Malaparte, Telesio Interlandi - futuro fondatore e direttore del quindicinale antisemita "La difesa della razza" - Vincenzo Cardarelli. Utilizza il carattere tipografico Bodoni, in luogo del più leggero elzeviro.
Assieme a Longanesi e Maccari - i "nani di Strapaese", secondo Malaparte - i collaboratori dell' "Italiano" partecipano nel 1928 alla redazione del notevole "Almanacco di Strapaese".
Nel 1929 il federale Ghinelli lo nomina direttore dell' "Assalto", giornale-battaglia e organo della locale federazione fascista, al posto di Giorgio Pini, passato al "Resto del Carlino". Già nel 1924, a nemmeno vent'anni, Arpinati lo aveva chiamato a collaborare a questo giornale. Leo vi introduce un nuovo stile grafico e lo arricchisce con le prime fotografie.
Nel 1931 esce un fascicolo interamente dedicato all'opera di Giorgio Morandi, che ha grande successo e indica all'editore la strada dei numeri unici, caratterizzati da notevoli inserti fotografici e grande cura grafica. Dopo pochi numeri, però, Leo è rimosso dall'incarico, per una satira sul senatore Tanari, un ex liberale divenuto finanziatore dei fasci bolognesi.
Il 14 maggio 1931 è tra i protagonisti dell'episodio conosciuto come "lo schiaffo a Toscanini". Quella sera al Teatro Comunale è in programma un concerto in memoria di Giuseppe Martucci, direttore emerito dell'orchestra bolognese alla fine dell'800. Il maestro parmense si rifiuta di dirigere l'inno fascista Giovinezza e la Marcia Reale davanti al ministro Ciano e ad Arpinati. Viene aggredito e schiaffeggiato da alcune camicie nere presso un ingresso laterale del teatro.
Secondo alcune ricostruzioni, non confermate, è proprio Longanesi a mollare la sberla al mitico direttore. Certo invece è il suo sprezzante commento sul giornale alcuni giorni dopo: Toscanini ha agito secondo una "sciocca regola estetica per zitelle anglosassoni". La contestazione contro di lui ha significato una "affermazione non solo politica ma anche estetica del fascismo bolognese".
Longanesi lascia l'amata Bologna nel 1932: "a Roma e Milano, a Napoli ho trascorso anni - dirà - a Bologna, come s'usa dire, ci ho lasciato il cuore. Posso dire di conoscerne ogni porta, ogni finestra, ogni vicolo". "L'Italiano" continuerà le pubblicazioni a Roma fino al 1942.
A Roma e a Milano
Nel 1932 si trasferisce a Roma con la famiglia e porta nella capitale anche la direzione dell' "Italiano". Riceve l'incarico di allestire la sala dedicata a Mussolini per la Mostra del Decennale della Rivoluzione fascista, che inaugura il 28 ottobre di quell'anno. Collabora con la rivista "Cinema" di Vittorio Mussolini. Nel 1935 cura l'attività di propaganda del regime per la guerra d'Etiopia.
Oltre che come giornalista continua a cimentarsi come disegnatore. Ispira i suoi rapidi appunti e le sue caricature ai vecchi almanacchi e alle carte da gioco. Li espone in varie mostre. Con l'appoggio del Duce, con il quale vanta un rapporto diretto, nel 1937 fonda la rivista "Omnibus", primo esempio di rotocalco in Italia :
La fotografia coglie il mondo in flagrante. Diamo tante immagini accanto a testi ben fatti: ecco un nuovo genere di giornalismo.
Il giornale, arricchito da firme prestigiose, quali Moravia, Brancati, Soldati, Savinio, Flaiano, ha successo, ma dura poco. Ancora una volta, con i suoi articoli spregiudicati, "pesta i piedi" a qualche pezzo grosso ed è costretto a chiudere. Pochi giorni più tardi sposa Maria Spadini, figlia di un noto pittore romano. Continua a collaborare con l'editore Rizzoli ed è nominato consulente del Minculpop.
Allo scoppio della guerra, assieme ai primi disincanti, vi è anche l'impegno creativo per la propaganda: "Taci, il nemico ti ascolta!" è un suo motto. Con i suoi disegni inonda le copertine del "Primato". Nel 1942 crea alcune fortunate collane editoriali, quali La Gaja scienza e Il Cammeo, che porterà nel dopoguerra nella sua casa editrice milanese.
Il giorno della caduta del fascismo, il 25 luglio 1943, scrive, assieme a Mario Pannunzio e Arrigo Benedetti, un articolo di fondo sul "Messaggero" in cui celebra la libertà. Dopo l'8 settembre attraversa fortunosamente il fronte in Molise e si stabilisce a Napoli, dove con Soldati e Steno si impegna nella propaganda antifascista. Presto si mostra insoddisfatto del nuovo clima: "Il vero guaio è che non abbiamo perduto abbastanza: ci sentiamo quasi vincitori".
Dopo l'ingresso degli Alleati torna a Roma e vi rimane fino alla fine della guerra, pubblicando il settimanale di varietà "Sette". Quindi nel 1946 si trasferisce a Milano, dove fonda, assieme all'industriale Giovanni Monti, la casa editrice Longanesi & C. Collegata ad essa è il bollettino mensile "Il libraio", a cui collaborano l'amico Maccari e Elsa Morante.
È insoddisfatto della nuova democrazia e dell'antifascismo di facciata professato da molti ex fascisti. Per le elezioni del 1948 svolge una intensa campagna anticomunista, trasmettendo, assieme al fido Indro Montanelli, da una radio clandestina installata in un furgone.
Nel 1950 fonda "Il Borghese", rivista sul costume intellettuale degli italiani. Vi collaborano alcune delle migliori firme del paese: Ansaldo, Prezzolini, Missiroli, Flaiano, Montanelli, Parise, Prezzolini. Ad esso affianca il movimento politico "strapaesano" della Lega dei Fratelli d'Italia.
Le sue diffidenze nei confronti della nuova classe dirigente e della democrazia stessa, sono tra le ultime testimonianze di una vita febbrile, da battaglia. Muore di infarto a Milano, il 27 settembre 1957, a soli 52 anni.
Il giardino degli aforismi
Nel 2005, in occasione del centenario della nascita, Bagnacavallo (RA) ha dedicato a Longanesi un'area nel centro storico, un "Giardino degli Aforismi" con panchine decorate sullo schienale da sue frasi celebri. E' situato all'interno della corte di un antico palazzo nobiliare, in via Diaz n. 35, dove hanno sede anche un orto officinale e un ristorante tipico. Si tratta di una installazione "rispettosa delle sue grandi passioni e per nulla celebrativa". Sempre a Bagnacavallo il Centro Culturale Le Cappuccine in via Veneto conserva prime edizioni e saggi sulla sua poliedrica figura.
- Itinerari letterari, a cura dell'Assessorato al Turismo e dell'Assessorato alla Cultura della Provincia di Ravenna, (ecc.), Ravenna, Tipografia Moderna, 2006, pp. 74-75
- Leo Longanesi (1905-1957): editore, scrittore, artista, a cura di Giuseppe Appella, Paolo Longanesi, Marco Vallora, Milano, Longanesi, 1996
- Alberto e Giancarlo Mazzuca, Romagna nostra, con le fotografie di Lorenzo Capellini, Argelato, Minerva, 2019, pp. 122-123
- Piero Paci, Gli anni giovanili di Leo Longanesi a Bologna, in: "Strenna storica bolognese", 58 (2008), pp. 351-382
- Andrea Tugnoli, Mino Maccari. Gli anni del Selvaggio, introduzione di Renato Barilli, Bologna, CLUEB, 1996, pp. 48-49
Internet:
Places
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Palazzo Ghisilardi Fava - Casa del Fascio via Manzoni, 4
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Caffè dei Cacciatori Piazza della Mercanzia, 6
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Caffè di San Pietro via dell'Indipendenza, 7
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Caffè della Fenice - Bottega del fumista via Santo Stefano, 15. Bologna
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Liceo Galvani via Castiglione, 38
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Casa Boldrini - Editrice Imperium via Irnerio, 5
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Teatro comunale largo Respighi, 1