I fratelli Musolesi dell'Acqua Fresca deportati e uccisi
Il 14 luglio un distaccamento della brigata Stella Rossa cattura cinque fascisti di Monzuno: il reggente del Fascio, il comandante del presidio e tre vecchi squadristi “ben noti in zona per le loro soperchierie”.
I prigionieri sono condotti a Termine, sull'altro versante della Valle del Setta. Durante il tragitto fanno una sosta all'Acqua Fresca, in località Brigola, nella casa del mezzadro Cleto Musolesi, che collabora con i partigiani.
A fine luglio i cinque sono liberati dietro il rilascio di Guido Musolesi, fratello del comandante Lupo, prelevato in maggio dalle brigate nere assieme ai genitori e a lungo interrogato e torturato.
Dopo lo scambio, Cleto Musolesi teme di essere denunciato dai cinque fascisti e di subire una dura rappresaglia. La cosa si verifica infatti la sera dell'8 agosto, quando il podere dell'Acqua Fresca viene circondato dai tedeschi impegnati in un rastrellamento in zona assieme ai fascisti.
I componenti della numerosa famiglia Musolesi vengono arrestati. Il primo è Giovanni, partigiano della Stella Rossa, che tenta di fuggire dalla finestra non appena i soldati sfondano la porta con i calci dei mitra.
Secondo le severe disposizioni dei comandi tedeschi per la guerra contro le bande dei "ribelli", la casa e il fienile vengono dati alle fiamme e il bestiame è prelevato dalla stalla.
I Musolesi sono buttati su un carro assieme agli animali e più tardi aggregati ad altri prigionieri rastrellati nel territorio di Monzuno. I genitori, i figli più piccoli e la nuora sono rilasciati poco dopo, mentre gli altri figli sono condotti a Monghidoro.
Qui Adolfo e Maria vengono liberati, mentre Gino, Giovanni e Pietro sono tenuti segregati a Cà di Giorgio senza cibo e sottoposti per tre giorni a vessazioni e torture. In particolare Giovanni viene malmenato brutalmente.
L'11 agosto i tre sono fucilati nel campo della fiera assieme ad altri prigionieri. Anche Dino, il più piccolo dei fratelli Musolesi, è davanti al plotone d'esecuzione e viene graziato all'ultimo momento.
Testimonierà che “quando ha visto i due fratelli morti Pietro è caduto per terra svenuto allora un tedesco gli ha dato un calcio e visto che non si muoveva, bisognava dargli un pò d'acqua, un pò di cognac, invece quello con la pistola lo ha ammazzato anche lui”.
Le sorelle Amalia e Bruna e il fratello Fernando vengono condotti a Bologna alle Caserme Rosse, lager di smistamento dei rastrellati.
Le due ragazze finiranno a lavorare nei Reich, Fernando sarà trasferito alla Todt sulla costa adriatica.
Ubaldo, il più anziano dei fratelli Musolesi, combatterà con i partigiani della 63ª brigata Bolero Garibaldi. Catturato dopo la battaglia di Rasiglio, sarà impiccato col filo spinato assieme ad altri undici compagni sotto il cavalcavia di Casalecchio di Reno il 10 ottobre 1944.
- Antifascismo e resistenza a Casalecchio di Reno. Documenti e testimonianze, a cura di Graziano Zappi (Mirco), Bologna, Libreria Beriozka, 1988, p. 232
- Bologna partigiana. 1943-1945, Bologna, a cura dell'ANPI, 1951, p. 126
- Vittoria Comellini, Monghidoro: lunga strage di fratelli, donne, ragazzi, in: "Resistenza", 3 (2009), pp. 14-16
- Deputazione Emilia Romagna per la storia della Resistenza e della guerra di liberazione, L'Emilia Romagna nella guerra di liberazione, vol. 1: Luciano Bergonzini, La lotta armata, Bari, De Donato, 1975, p. 74
- Ricciotti Lazzero, Il sacco d'Italia. Razzie e stragi tedesche nella Repubblica di Salò, Milano, A. Mondadori, 1994, p. 274
- Dario Zanini, Marzabotto e dintorni, 1944, Bologna, Ponte nuovo, 1996, pp. 160-163, 237-241