Grande rastrellamento contro la brigata Stella Rossa
Il 20 maggio una squadra di partigiani assale la caserma dei carabinieri di Marzabotto, uccidendo due militari e mettendo in fuga gli altri.
Il 24 maggio aerei anglo-americani sganciano “a mezzo di paracadute” nell'area di Marzabotto “quantitativi imprecisati di armi e munizioni” destinati a rifornire le bande partigiane della zona. Il lancio è interamente recuperato dai “ribelli”
Il 25 maggio alcuni soldati tedeschi del 131° Reggimento artiglieria contraerea (Flak-Regiment 131) scompaiono mentre sono alla ricerca di cibo nei pressi di Villa d'Ignano, probabilmente catturati dai partigiani.
Dall'alba del 28 maggio la zona di operazione della brigata Stella Rossa, sull'acrocoro montano tra le valli del Reno e del Setta, è oggetto di un grande rastrellamento nazifascista ordinato dal tenente colonnello Jaecken del Comando supremo SS dell'Italia centro-settentrionale. Il nome in codice dell'operazione è “Ferrara”.
Essa si prefigge l'obbiettivo di accerchiare il territorio in cui si trovano le basi della Brigata Stella Rossa, tra Lama di Setta, Panico, Marzabotto, Monte Sole e Vado.
Assieme ad oltre 700 soldati, appartenenti a varie unità tedesche e italiane, partecipa all'operazione anche il colonnello Schiller, comandante della base aerea di Bologna.
Dopo aver piazzato batterie di cannoni a Cà di Bocchino, sulla strada di Monzuno, i nazifascisti cominciano l'attacco “con spari d'artiglieria, con mitragliatrici e fucileria”, poi prendono a salire verso Monte Sole.
Intanto “numerose formazioni di bombardieri, arrivati all'improvviso in ausilio dei partigiani”, colpiscono i due versanti della montagna, terrorizzando la popolazione.
La brigata Stella Rossa, forte di oltre trecento uomini bene armati, anche a seguito di lanci alleati, sostiene una serie di attacchi e contrattacchi tra monte San Silvestro, Caprara e San Martino, respingendo i tedeschi e i fascisti fino sul ponte della Direttissima.
Il 28 maggio l'azione dei Tedeschi raggiunge l'intensità massima. E' colpito soprattutto il versante della valle del Reno, con spari sulla montagna per tutta la giornata.
Nella valle del Setta i cannoni ad alzo zero mozzano il campanile di Villa d'Ignano. Il parroco don Bragalli è rastrellato e finirà nel lager di Fossoli.
Il parroco di Vado don Eolo Cattani, invece, va inconto ai tedeschi “rivestito di cotta e stola”, deciso a darsi ostaggio pur di impedire la rappresaglia sulle colline intorno al paese. E' trattenuto dai Tedeschi a Cà di Bocchino fino alla fine del rastrellamento.
Dopo l'operazione sul terreno rimangono pochi soldati morti e feriti e cinque civili uccisi in località diverse. Più di cinquanta case coloniche sono date alle fiamme dai rastrellatori. I soldati si abbandonano a saccheggi e furti di viveri e animali. L’elenco dei poderi da bombardare è fornito ai Tedeschi da fascisti della zona.
Nelle località Puzzola e Casa del Sarto sono fucilati quattro partigiani e catturati numerosi civili. Undici di essi verranno passati per le armi nei pressi di San Luca.
Secondo D. Zanini, tra nazifascisti e partigiani non ha luogo una battaglia vera e propria. Scriverà che “le due parti non ebbero uno scontro ravvicinato. Le quattro o cinque vittime dei tedeschi non erano partigiani, ma civili”.
“E poi non si deve dimenticare che la maggiore abilità dei partigiani di Monte Sole, dimostrata in quell'occasione e confermata in seguito, fu proprio quella di evitare gli scontri aperti mediante il ripiegamento”.
Nella notte tra il 28 e il 29 maggio, infatti, il grosso della brigata Stella Rossa, al comando di Mario Musolesi (Lupo), si trasferisce in modo ordinato alla Quercia, dove guada il Setta con una lunga fila indiana, avviandosi verso Grizzana.
Le varie compagnie si mettono in salvo fuori del perimetro del rastrellamento, disperdendosi tra Monte Vignola e la catena montuosa, al confine con la Toscana, intorno a Pietramala: Monte Bastione e Monte Freddi, vicino alle sorgenti del Savena.
Il 30 maggio di prima mattina le SS irrompono sull'abitato di Casaglia “calandosi a precipizio dai monti con urla e colpi impressionanti, con l'aspetto di cani segugi alla ricerca di una preda”.
Trovano però solo donne e bambini radunati in un asilo. Compiono una ruvida perquisizione, “esigendo sgarbatamente i documenti” e interrogando su armi e partigiani nascosti, e poi se ne vanno.
La Stella Rossa ritornerà più avanti nel basso Appennino, spinta anche dalla necessità di migliori fonti di rifornimento, insediandosi a ovest del Reno, oltre Marzabotto.
Negli stessi giorni dell'attacco alla Stella Rossa, un'altra grande brigata partigiana, la 36a Garibaldi operante nell'Imolese, sarà oggetto di un vasto rastrellamento nazifascista nella zona del monte Carzolano. Esso durerà tre giorni senza produrre alcun risultato.
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