Il "voto alle signore". Un progetto mancato
La legge n. 2125 del 22 novembre 1925 concede il “voto alle signore” nelle elezioni amministrative.
Il 15 maggio, nel presentare il progetto del provvedimento, Mussolini riconosce che il capitalismo ha ormai “strappato le donne al focolare domestico” e le ha introdotte nella vita sociale, nelle fabbriche, negli uffici.
Non gli appare quindi strano che, ogni quattro anni, una donna metta la scheda nell'urna.
Le condizioni previste per l'accesso limitano comunque notevolmente il numero delle aventi diritto: occorre essere decorate al valore civile o militare, oppure madri di caduti in guerra, bisogna avere almeno 25 anni e saper leggere e scrivere.
Per le elezioni amministrative previste nell'aprile 1926 a Bologna sono ammesse solo 2.350 donne, meno del 2% delle cittadine. Ma neanche queste potranno votare: con l'istituzione dei podestà di nomina regia, il turno elettorale verrà infatti abolito.
Il suffragio femminile diventerà una realtà vent'anni dopo con il referendum monarchia-repubblica del 2 giugno 1946.
- Giulia Galeotti, Storia del voto alle donne in Italia. Alle radici del difficile rapporto tra donne e politica, Roma, Biblink, 2006, p. 29 sgg.
- Elisa Pazè, Diseguali per legge. Quando è più forte l'uomo e quando è più forte la donna, Milano, Angeli, 2013, pp. 26-27
- Marco Poli, Bologna com'era, Argelato, Minerva, 2020, p. 67
- Gaetanina Sicari Ruffo, Il voto alle donne. La lunga lotta per il suffragio femminile tra l'Ottocento e il Novecento, Roma, Mond&editori, 2009, p. 72